21. SENSORY DEPRIVATION


-Finalmente ci incontriamo, Tenente.-
Berved era inginocchiato, faccia al muro, come i suoi compagni. Le armi erano state confiscate e giacevano impilate in un angolo. Cercò di alzare la testa, per vedere in faccia il suo interlocutore, ma un calcio nelle reni lo fece desistere.
-Le avevo detto di stare fermo, ma lasci che mi presenti: sono il Generale Frederik Strenw, Lupi Grigi-
Al suono delle ultime parole il gruppo di aguzzini emise un forte verso, simile ad un abbaio.
-Non ti conosco!-
Disse sfrontato Berved, passando insolente al “tu” e ricevendo un altro calcio.
-Credevo di parlare con ufficiale…mi sbagliavo?-
Un altro calcio obbligò Berved a rispondere in maniera rispettosa.
-Cosa volete da noi?-
Urlò Biz, richiamando l’attenzione del militare dietro di lui, che lo afferrò per il collo e lo trascinò indietro. Altri due gli misero uno straccio sulla bocca e un sacco di tessuto in testa, poi venne spinto nuovamente in posizione.
Il Generale alzò il tono della voce, minaccioso:
-Se non vi è chiaro, signori, se parlerete senza essere stati interpellati verrete puniti, con il vostro compagno sono stato benevolo, ma vi avverto, al prossimo mozzerò un dito! L’indice!-
Minacciare un mercenario o un soldato di recidergli di netto l’indice, utilizzato per tirare il grilletto, è un’efficace promessa.

La quinta trappola fece crollare parte del solaio in fondo al corridoio. Guardo Doc mentre si alza e corre verso il laboratorio.
-Cosa fai? Cosa impedirà a quel mostro di squartarci?-
Siamo dentro e, chino su un pannello di strumenti, alza un braccio e mi indica un angolo della stanza, in cui sono accatastati dei piccoli contenitori cilindrici.
Mi avvicino ad osservarli, non trovando nessuna etichetta o informazione utile sul contenuto.
-Questa è una sintetizzazione della secrezione delle piante del museo. Io la uso quando devo uscire all’aperto per tenerli lontani-
Si gira a guardare Sally. Mi sembra di vedere nei suoi occhi della malinconia. Quasi subito ritorna lucido come sempre e inizia a spruzzarmi addosso il composto mieloso.
Raccolgo un erogatore e mi metto al lavoro su di lui.
-Quanto tempo abbiamo?-
-Tra venti secondi è programmato il rilascio del liquido, poi prevedo un minuto di stasi dovuta al risveglio, ma sbrighiamoci, non vorrei sbagliarmi!-

Berved prese in mano la situazione, doveva cambiare strategia.
-Le assicuro che nessuno dei miei uomini le mancherà ulteriormente di rispetto. Dovranno risponderne direttamente a me, e non mi limiterò al dito indice.-
-Apprezzo l’impegno Tenente.-
-Se mi è concessa una domanda-
-Prego, la faccia pure. Dopo dovrà rispondere a molte domande, quindi gliene concedo una.-
-Ha detto “finalmente ci incontriamo”? Come mai?-
-È dalla dz (dropzone) che monitoriamo i vostri movimenti. Ammetto di aver provato quasi compassione quando vi siete infilati in una tana di quei mostri, ma ogni aspettativa è stata disattesa: siete sopravvissuti!-
-E perché ci avete fatto entrare nel complesso?-
-Non abbiamo sistemi di sorveglianza in ogni angolo, vi avevamo temporaneamente persi. Ma vi abbiamo ritrovati…-
Ride malefico e il gruppo lo imita.
-Ora basta con le domande, portateli nel blocco detentivo 3-

Quando il contenitore rilascia il liquido lo fa violentemente, inondando il pavimento del laboratorio con litri di gel. Doc quasi cade investito dall’onda alta trenta centimetri che gli colpisce le caviglie.
-Andiamo, sbrigati-
Incito Doc a raccogliere le sue cose e a fare strada nel corridoio. La visibilità è bassa a causa del fumo dovuto all’ultima esplosione, avvenuta al termine del corridoio. Un’alta cortina di fiamme sta impegnando i Divoratori, le cui urla si ergono sopra agli scoppiettii del fuoco. Corriamo dalla parte opposta, fino ad un armadio di derivazione, dietro il cui coperchio si cela un passaggio. Una volta entrati Doc posiziona un grosso cubo di materiale plastico vicino all’ingresso, tendendo un filo trasparente.
-Un’altra trappola?-
-Sì, ma spera che non capiscano da dove siamo fuggiti, c’è abbastanza esplosivo da far crollare tutto!-  

Il blocco detentivo era un vero e proprio carcere con un corridoio centrale su cui si aprivano piccole porte, niente sbarre. Vennero spinti ognuno in una cella singola, lunga poco meno di un metro e mezzo e alta altrettanto. Poi i campi di forza di chiusura vennero attivati e una barriera di luce rossa apparve, come per magia, tra gli stipiti.
-Benvenuti nella vostra nuova casa, signori miei-
Proruppe una voce da un altoparlante nel soffitto di ogni cella.
-I metodi di tortura sono stati aboliti da tempo, nel mondo civilizzato, ma questo è il mio mondo e ne posso fare ciò che voglio. Per questo proverete ciò che un tempo chiamavano “deprivazione sensoriale”. Dopo questa cura implorerete di potermi raccontare tutto quello che sapete-
La calma con cui il Generale declinò queste parole fecero venire i sudori freddi alla maggior parte degli uomini della squadra. Erano pochi quelli che non avevano mai sentito parlare, o addirittura provato sulla pelle, cosa fosse quella tecnica. Nel ventesimo secolo molti usavano delle terapie simili per curare alcuni disturbi, ma in seguito vennero abbandonate a causa delle controindicazioni psicologiche.

Il condotto di fuga doveva essere lungo almeno cinque chilometri, perché arrivati in fondo abbiamo entrambi il fiato corto e siamo grondanti di sudore, forse anche a causa dell’altissima percentuale di umidità presente.
-Vicolo cieco?-
Chiedo preoccupato vedendo la pesante grata d’acciaio.
-No, tranquillo-
Mi conforta Doc, mentre tira fuori una lunga chiave dalla tracolla.
Fuori il sole ha lasciato spazio ad un cielo terso e tra le stelle si possono facilmente identificare, dall’altissima luminosità, le stazioni spaziali delle maggiori superpotenze commerciali.
Rimango quasi incantato nel guardare quello spettacolo. Ecco un altro splendore di cui gli abitanti delle megalopoli non possono giovare, grazie a tutto l’inquinamento luminoso che generano con quei maledetti cartelloni pubblicitari.
-Riposiamoci un attimo, mangia qualcosa, ci aspetta una lunga marcia.-
Mi allunga una barretta energetica e una razione di acqua, che ingurgito in pochi minuti.

Mac, memore dell’addestramento S.E.R.E. (Survival, Evasion, Resistance and Escape), iniziò subito a cercare un modo per non distaccarsi dalla realtà. Sapeva che prima o dopo li avrebbero spogliati di tutto ciò che avevano e li avrebbero vestiti con tute senza disegni. Per ora aveva ancora l’orologio e iniziò ad osservarlo e a scandire insieme a lui il passare del tempo.

Marciamo ormai da diverse ore, alternandoci alla testa, così da permettere a entrambi di allentare un po’ la tensione, quando Doc mi ferma con un leggere suono della bocca. Mi congelo, timoroso. Lentamente mi si avvicina e mi sussurra:
-Stiamo per rasentare un edificio delle Anime, vedi quel palazzo basso e lungo?-
Mi indica quello che doveva essere un complesso per uffici, alto tre piani e lungo almeno trecento metri.
Le finestre, talmente scure che sembrano voler fagocitare il buio della notte, gli danno un aspetto minaccioso, quasi fossero una fila interminabile di occhi vuoti.  
-Mantieni un passo costante, senza fare rumore e, nel caso uscisse qualche abitante ricorda che siamo coperti di repellente. Continua a muoverti e non fare nessun movimento brusco. Intesi?-
Ci mettiamo quasi mezz’ora a passare l’edifico, stando attenti a non calpestare i cocci dei vetri delle automobili abbandonate lì davanti. Arrivati al termine del lungo muro, camminiamo ancora per una cinquantina di metri e ci fermiamo, sfiniti.
-Aspetta, aspetta, sono stanchissimo. Ci possiamo riposare un attimo?-
-Quanto dista il capanno di cui mi parlavi, Doc? –
-Ancora una decina di chilometri-
-Riposiamoci allora, appena un attimo però, non vorrei mai che quelle creature si accorgessero di noi-
Non riesco quasi a finire la frase che una lunga raffica di fucile d’assalto squarcia la notte, alzando spruzzi di terra e sudiciume tutto attorno a noi. Ci alziamo veloci e corriamo a più non posso nella direzione opposta agli spari: l’edificio!