20. MOUSETRAP


Ormai il Caporale Glid Frijn si era arreso all’idea che la sua capsula di NeuBell fosse difettosa. Aveva tentato di comandarne il rilascio appena iniziata la tortura, invano.
Sandoval gli si avvicinò in attimo di pausa, sussurrandogli nelle orecchie
-Meno male che il composto basico che ti ho iniettato in vena mentre ti legavo ha fatto il suo effetto. Se però ora vuoi morire, ti capirei-
Il prigioniero non era più legato, ma giaceva raggomitolato a terra, scalzo, con entrambi i tendini d’Achille erano recisi. Le ferite cauterizzate dal calore della lama ad energia.
Rudolf notò un guizza di speranza nei suoi occhi, il dolore aveva ormai superato la soglia di sopportazione, l’avrebbe portato alla pazzia. Fece segno di sì con la testa, colto da un tremore nervoso.
-Mi devi dire qualcosa però!-
-Siamo un corpo scelto, di stanza in questa città, con lo scopo di mantenere la sicurezza del complesso e assicurare la continuazione degli esperimenti-
-Esperimenti?-
-Sì, esperimenti genetici, soldato futuro-
-In che sotto livello sono i laboratori?-
-Trentadue-
-E l’archivio?-
-Cinquanta-
-Altro?-
Fece segno di no con la testa, chiudendo gli occhi.
-Ora uccidimi, per favore-

Mi sveglio di soprassalto e mi guardo intorno con quella sensazione che qualcosa non va. Doc si è chiuso nel laboratorio per “fare alcuni test”, così mi alzo dalla branda e rimango in ascolto. Mi sembra di percepire dei rumori strani, ma il corridoio è deserto. Mi avvicino alla porta del laboratorio e busso piano sul metallo.
Doc spalanca l’uscio con gli occhi fuori dalle orbite, mi afferra la maglia e mi tira dentro.
-Sapevo che sarebbe successo, solo speravo di avere più tempo!-
Armeggia furibondo sul tavolone da esperimenti, saltando da un quaderno ad un altro, annotando numeri e formule, come rapito da una forza deviante sovraumana, ma al tempo stesso geniale.
-Lo sapevo, non dovevo fidarmi!-
-Di cosa parli? Di chi non dovevi fidarti?-
Non sembra aver sentito, continua a confabulare.
-Devo attivarlo, non dovrei, ma devo!-
-Cosa cazzo stai dicendo? Vuoi ascoltarmi?-
Si gira, i bulbi oculari completamente arrossati dai vasi sanguigni, al limite della rottura, mi incute paura.
-Non sei stato abbastanza attento, li hai condotti qui! Adesso dobbiamo fuggire!-
-Chi? Chi avrei condotto qui?-
-I Divoratori, razza di coglione!-
Non pensavo che Doc fosse capace di avere un vocabolario così, deve essere sconvolto!
-Ma vedrai che ce la caveremo, devo solo recuperare i dati delle ricerche…e poi ho delle difese anche io-
-Dimmi come posso aiutarti!-
Torna ad osservarmi, sembra voler capire se può fidarsi, poi gesticola e mi indica una piantina dell’ospedale appesa al muro, un vecchio piano d’evacuazione su cui sono segnati gli estintori, le uscite d’emergenza. Con un pennarello rosso sono state aggiunte delle x.
-Vedi questa x vicino al lato nord? È una bella sorpresa per quei bastardi! Vai là e tendi il filo che troverai arrotolato ai piedi del carrello dell’ossigeno, non puoi sbagliare, ha due bombole arancioni! Poi attirali lì!-
-Ok, poi torno qui?-
-No! Attiva anche le altre trappole e poi ritorna qui-
Stacca dal muro la mappa e me la porge.
Faccio segno di sì mentre osservo la piantina.
-Ah sì, e ricorda: stai attento!-

Berved appoggiò la mano sulla spalla di Rudolf.
-Ottimo lavoro, vedo che la politica poliziotto buono, poliziotto cattivo funziona ancora!-
Frijn sbarrò gli occhi, lo avevano raggirato.
-Sfortunatamente per lei, Caporale, non acconsentirò all’assassinio di un prigioniero. Lascerò qui, per puro caso, la sua arma…-
La squadra si riorganizzò e salì sull’elevatore, senza prima aver tolto dai cadaveri ogni sistema di comunicazione.
Mentre le porte si chiudevano nell’aria risuonò un unico, forte, colpo di pistola.

Doc aveva ragione, è inequivocabile il carrello dell’ossigeno, con le sue bombole arancioni. Trovo altrettanto facilmente il filo da pesca arrotolato intorno ad una penna, che funge da rocchetto. Lo srotolo tutto, fino a fissarlo ad un piccolo chiodo nel battiscopa dalla parte opposta del corridoio. Mentre osservo la trappola mi chiedo come faccia Doc a conoscere questi metodi, alla fin fine è solo un medico!
Un grugnito mi riporta alla realtà. Imbocco il corridoio, muovendomi circospetto verso il rumore.
Arrivo nella hall. Una decina di predoni stanno rovistando tra le cartelle mediche e gli armadietti. All’arrivo di quello che deve essere una specie di caposquadra, gli altri si bloccano, in attesa di ordini.
-Siamo qui per riprendere quel figlio di gnu! Non per razziare!-
Lancio un fischio, calamitando l’attenzione del gruppetto.
-È me che cercate?-
Poi mi lancio di corsa da dove sono venuto. Sento urla e incitamenti alle mie spalle, stanno sicuramente inseguendomi.
Arrivo alla curva appena prima della trappola un po’ troppo veloce, così scivolo sul pavimento liscio e cado rovinosamente a terra. Uno dei Divoratori, un tizio magro e atletico, che ha staccato il grosso del gruppo, mi si lancia addosso, cercando di graffiarmi il volto. Noto con estremo dispiacere che calza un guanto con inserti aguzzi di acciaio. Riesco a scrollarmelo di dosso, ma non posso correre oltre il filo: se fa scattare la bomba morirei anche io. Però devo metterlo fuori combattimento prima che arrivino gli altri.
Incalza fendendo l’aria con le corte lame, facendo smorfie animalesche.
Attendo un secondo per capire il ritmo del movimento e mi lancio, con la spalla destra in avanti, dritto al suo stomaco. Il mondo sembra volare per un attimo, quando entrambi siamo a mezz’aria, per poi ripiombare violento a terra. Il Divoratore batte la nuca sul pavimento e perde conoscenza all’istante.

L’ascensore si fermò al cinquantesimo piano.
Quando le porte si aprirono Berved e la squadra rimasero impietriti: almeno venti Lupi Grigi li stava aspettando ad armi spianate. Da dietro lo schieramento si mosse un uomo, vestito con la stessa mimetica, senza armi, che portava un vistoso basco rosso con l’effige della testa di un lupo in argento.
-Tenente Berved, suppongo-

L’esplosione sconquassa tutto l’edificio, ormai è già la terza trappola che scatta dall’inizio dell’assalto. Doc mi guarda, preoccupato.
-Se arrivano alla quinta dovremo lasciare l’Ospedale-
-Dove andremo?-
-Al porto, c’è un vecchio magazzino in cui custodisco un mezzo di trasporto, lo prenderemo e fuggiremo sulle montagne-
-E cosa gli impedirà di fermarci?-
Doc, in silenzio, alza un dito tremante e indica la vasca di stasi, indica Sally! 

19. REVELATIONS


La squadra si congelò, ogni suo componente trattenne il fiato, cercando di percepire anche il minimo segnale di pericolo. Marvin, l’unico con un equipaggiamento tecnologico adatto, si mosse lentamente fino a raggiungere una cassa di metallo, abbastanza grossa da costituire un appiglio tattico adeguato.
Berved sentì dopo poco quattro schiocchi leggeri di dita: quattro nemici.
Se avevano tolto l’energia voleva dire che erano dotati di visori adeguati, quindi l’unica soluzione era combatterli alla luce. Sperava solo che anche Marvin fosse giunto alla stessa conclusione. 
FOP! Uno schiocco improvviso, seguito dal rumore di un corpo che cade. Tra i nuovi venuti si sparse il panico, provocando rumori rivelatori. Varmit accese la potente torcia posta sotto il railgun e iniziò a tempestare le cellule abitative vicine di proiettili.
Dopo la raffica spense nuovamente la torcia, solo la canna riscaldata emise ancora per qualche secondo un leggero bagliore rossastro.
FOP! Un altro morto.
Persero la pazienza ed iniziarono a sparare a casaccio, sintomo che i visori non erano di tipo termico. Corte raffiche di mitragliette leggere indicavano fin troppo bene la posizione nemica.
Gli uomini di Berved si mossero rapidi verso quella posizione, come fossero acqua che si insinua tra i ciottoli di un fiume.
-Ne voglio uno vivo!-
Ordinò il Tenente, appurando con piacere che la direttiva veniva passata da uomo a uomo.
Arrivati a tiro dei due superstiti attesero, tenendo sotto tiro i due soldati.
FOP!
Quasi all’unisono tutte le torce si accesero, lasciando l’ultimo uomo rimasto come un cervo in mezzo alla strada. Vedendosi sopraffatto non poté che alzare le mani, dopo aver lasciato cadere l’arma sul pavimento.

Devo essermi addormentato perché vedo la faccia di Doc quando apro gli occhi.
-Dovevi essere esausto, ti sei addormentato appena ti sei seduto!-
Vedo che sul tavolo c’è una tazza di brodaglia fumante, così prendo la tazza e bevo avidamente.
-Bravo ragazzo, devi aver perso molti liquidi durante la fuga-
Faccio segno di sì con la testa
-A proposito, sei stato attento che non ti seguissero fino a qui? È importantissimo!-
-Sì Doc, prima di dirigermi qui mi sono assicurato che avessero perso le mie tracce-
Fa segno di dì con le spalle e poi mi si siede davanti, aprendo sul tavolo una locandina sgualcita.  Sulla carta illustrata vedo un soldato enorme che marcia su una città in rovina.
Spesso, nel ventunesimo secolo, si ricorreva ancora a immagini anacronistiche di retaggio imperialista e in alcuni casi avevano il loro effetto.
I caratteri cirillici dicevano “Vuoi dare un futuro sicuro alla tua famiglia?” e “Vuoi rendere fiera la tua Nazione?”. In fondo al foglio, più grande di tutti, la scritta “Soldato Futuro” seguita da un numero di telefono a cui rivolgersi.
Lo guardo, desideroso di capirne di più
-Ti starai chiedendo cosa c’entri un volantino propagandistico con un mostro umanoide-
-Ho sentito parlare di un timido tentativo di ritornare alle origini da parte della Confederazione Eurasiatica una ventina di anni fa-
-Timida la chiami?- ride -Non penso sia il termine adatto, se consideri gli esperimenti genetici e scientifici legati a questo tentativo. Ne è un esempio il complesso di laboratori in questa regione. Sai quanti scienziati ci lavorarono?-
Più o meno lo sapevo, ma non volevo rivelare a Doc più informazioni di quelle indispensabili.
-Centinaia si avvicendarono dietro a quei macchinari per trovare le formule corrette per sviluppare forza, intelligenza e riflessi perfetti. -
-E ci riuscirono?-
Doc si alzò e mise in una tasca del camice la locandina, poi aprì la porta.
-Secondo te quella cosa che c’è di sotto è un risultato accettabile?-
Enfatizzò l’ultima parola, poi mi fece un cenno con la mano ed uscì in corridoio.

Al prigioniero venne strappato il visore dagli occhi e venne fatto inginocchiare, bloccandogli i polsi dietro la schiena con delle fasce di ritenzione apposite.
-Salve, sono il Tenente Berved, con chi ho il piacere di parlare?-
-Tenente di che forza armata?-
Parlava inglese correttamente.
-Della nostra…-
Un brusio di approvazione, mista a divertimento, si alzò dalla squadra.
-Io mi sono presentato, sarebbe così gentile da dirmi il suo nome e grado?-
-Caporale Glid Frijn, Lupi Grigi!-
Pronunciò queste parole gonfiando il petto e alzando il mento, come se ci fosse un generale che passava in rassegna le truppe.
-Lupi Grigi? Vorrebbe essere così gentile da spiegarmi chi siete?-
Il caporale, con gli occhi ormai arrossati dalle potenti torce, lo guardò fisso e, con un ghigno malefico:
-Siamo quelli che vi ammazzeranno fino all’ultimo e che brinderemo con il vostro sangue!-
Il calcio del fucile di Mac emise un secco colpo quando venne sbattuto con forza dietro al collo di Glid, che cadde a terra.
-Come vede, Caporale, il signore qui presente non accetta di buon grado le minacce. Se fosse così gentile, ora, da rispondere alla domanda.-
Non rispose, tirandosi nuovamente in ginocchio e recuperando la posa da parata.
Berved si girò e indicò con un cenno Varmit, che appoggiò il railgun a terra e gli si avvicinò, poi, rivolto a Biz e Sandoval:
-Toglietegli il paraschegge e il tattico, lasciatelo a petto nudo!-       

Siamo arrivati in una stanza dietro alla reception, nella quale venivano custodite copia delle cartelle di ogni paziente. Doc mi indica uno scaffale, da cui raccoglie una cartellina marrone.
-Vedi questa etichetta viola? Significava che avevi contratto l’infezione-
-Quale infezione?-
-Vedi, quando nel laboratorio iniziarono a svilupparsi le prime mutazioni venne data la colpa ad un virus-
Ecco i continui richiami a fascicoli medici che avevo trovato nel computer nell’appartamento.
-Purtroppo chi lavorava al laboratorio sapeva che la verità andava ben oltre alla finzione: l’esperimento era stato allargato a tutta la popolazione cittadina-
Solo ora mi rendo conto che tutte le cartelle che vedo, nessuna esclusa, hanno il talloncino viola.
-Ed è sfuggito di mano, vero?-
-Esatto! Le forze speciali, i Lupi Grigi, riuscirono ad arginare il fenomeno eliminando sistematicamente le minacce e i portatori dell’agente mutageno-
-E allora perché ci sono ancora quelle creature fuori?-
-Semplicemente sono la loro polizza contro i curiosi!-

Il Caporale Glid Frijn era legato con le mani alte ad una trave metallica, le ustioni avrebbero lasciato cicatrici indelebili, addirittura per la chirurgia ricostruttiva laser, ma probabilmente non sarebbe vissuto tanto a lungo da doversene preoccupare. Ormai i muscoli degli arti inferiori avevano ceduto e il peso corporeo stava scavando profondi solchi nei polsi.
-Reggetelo, se no gli si staccheranno le mani-
Ordinò Varmit ai due “aiutanti”.
Berved si aggirava quasi distrattamente intorno al corpo martoriato.
-Non sia stupido, mi dica ciò che le ho chiesto-
Marvin aveva riacceso le luci nel piano abitativo e i soldati nemici erano stati posti ordinatamente lungo la parete di fronte al prigioniero.
-Avrà capito che l’abbiamo lasciata viva solo per avere informazioni, quindi se non ce le fornisce…-
Emise un basso rantolo, non riusciva ad articolare bene le parole.
-Mi ucciderete ugualmente-
-Le dò la mia parola da ufficiale che la lascerò libero!-
Il prigioniero alzò gli occhi, guardando stupefatto il Tenente. Poi scrollò la testa, non gli credeva.
Ad un cenno Varmit ricominciò a percuoterlo.

18. THE EGG


-Tanto vale…-
Disse Biz allungando la mano e premendo un pulsante caso. Berved non ebbe il tempo di bloccarlo e l’elevatore si chiuse alle loro spalle. Le pesanti porte scorrevoli non emisero alcun suono, segno della manutenzione perfetta.
-Ci stiamo muovendo?-
-Penso di sì Varmit, sento una leggera vibrazione-
Rispose Marvin, appoggiando la mano sulla parete.
Dopo meno di un minuto la porta si riaprì mostrando un lungo corridoio buio reso spettrale dalla flebile luce della cabina dell’elevatore, che riusciva a mostrarne solo pochi metri. Ad un cenno del Tenente gli uomini accesero le torce. Passato l’attimo di disorientamento, dovuto allo sbalzo di luminosità, i muri e il pavimento apparvero chiari come fosse giorno: macchie ovunque.
-È sangue! Rappreso da tempo-
Esclamò Sandoval dopo averne esaminata una da vicino.
Nessuno rispose, ma la squadra continuò l’esplorazione del tunnel. Terminava in una curva a gomito, subito chiusa da una porta a tenuta stagna, ai cui piedi giaceva in posa scomposta un cadavere in avanzato stato di decomposizione.
-Sembra volesse fuggire-
Commentò Rudolf, subito folgorato dallo sguardo torvo del Tenente.
Mac osservò il pannello comandi sul muro, trovandolo manomesso.
-Qualcuno ha tagliato i cavi-
-Forse lui stesso, per cercare di sbloccare la porta?-
Chiese Biz indicando l’uomo a terra.
-Impossibile, questa porta è a tenuta stagna, in caso di sabotaggio della plancia non si apre se non con una cannonata, e se lo so io, semplice soldato, sono sicuro lo sapesse anche lui…che sembra un ingegnere-
Commentò Berved tirandone il camice bianco e raccogliendo un tesserino magnetico con su scritto “354”.
Poi, rivolto alla squadra:
-Vicolo cieco signori, torniamo all’elevatore-

Sono tornato all’interno della struttura ospedaliera passando attraverso un passaggio nascosto nel muro sud, indicatomi da Doc. Lo trovo curvo sul tavolo del suo laboratorio, intento a sistemare la fiamma di un bruciatore.
-Bentornato!-
Mi accoglie senza alzare lo sguardo, forse aveva già controllato chi fossi. Quando mi guarda però gli si spalancano gli occhi: sto tenendo in mano il suo macchinario.
-Magnifico! Sei riuscito a prenderlo!-
Lo soppesa e se lo rigira tra le mani, studiandone ogni centimetro. Una volta assicuratosi che sia tutto a posto, lo appoggia sul lungo tavolo da laboratorio e mi fa segno di seguirlo.

Premettero un altro tasto, segnandolo con un pennarello indelebile.
Questa volta finirono in quello che sembrava la zona residenziale del complesso.
Una grande stanza, la cui superficie misurava più di due ettari, appariva popolata da basse costruzioni tutte uguali, di materiale plastico, simili a uova. L’involucro esterno era personalizzato con fantasie colorate, ma su tutte appariva a caratteri cubitali un codice numerico a tre cifre.
-Vediamo di capirci qualcosa!-
Esclamò il Tenente, osservando la tessera magnetica.
-Tre cinque quattro, cerchiamolo-
Si misero a camminare percorrendo i passaggi sinuosi in mezzo alle cellule abitative, fino a trovarsi davanti a quella cercata. La superficie era completamente liscia, senza alcuna fessura per inserire una tessera. Solo la porta era riconoscibile da una tonalità di colore diversa, così passò la carta vicino allo stipite. Arrivato sul lato destro un led affogato nel materiale emise una luce pulsante verde e il pannello d’ingresso scorse silenzioso verso il soffitto. Contemporaneamente l’uovo si illuminò, sia all’interno che all’esterno, di una calda luce tendente al blu.

Doc supera la porta del laboratorio e prosegue lungo un corridoio buio, che fa una secca curva a gomito. Ci troviamo di fronte ad una porta blindata la cui vernice è graffiata e i cardini sembrano essere stati aggrediti da qualcosa.
-Hanno provato ad aprirla in tutti i modi, fortunatamente non disponevano di esplosivo-
Mi dice, vedendo la mia espressione interrogativa, mentre armeggia con una tastiera numerica. Il sistema di chiusura emette uno sbuffo e l’uscio si discosta leggermente dalla cornice.
Aiuto Doc ad aprirlo. Quando entriamo e le luci si accendono automaticamente rimango senza parole: al centro di un ambiente simile ad una sala operatoria fa bella mostra di sé una vasca piena di liquido, in cui vedo, immobile, una delle creature.
-Ti presento Sally!-
Dice ridendo Doc
-È all’interno di una vasca di stasi, il gel in cui è immersa serve per tenerla perennemente sedata, è come se fosse affogata, ma le sue funzioni vitali persistono-
Indica un monitor su cui scorrono in tempo reale tutti i valori fisiologici.
-Ma questo serve qui!-
Dice alzando l’irraggiatore e posizionandolo all’interno di un macchinario più complesso che occupa completamente una parete.
-Cos’è questo posto?-
Chiedo timoroso della risposta.
-Hai mai sentito parlare del progetto человек будущего (Uomo Futuro)?-
Faccio segno di no con la testa.
-Ragazzo mio, allora stasera avremo tanto di cui parlare, ma ora lascia che termini questo lavoro-

All’interno c’era lo spazio sufficiente solo per due uomini ed era strutturato con una divisione ideale tra zona giorno e zona notte: la parte più vicina alla porta presentava un piccolo guardaroba e un piano d’appoggio, mentre nella parte posteriore il pavimento era rialzato, andando a disegnare un letto di forma irregolare, ricoperto da un sottile materassino di materiale espanso.
Il disordine presente strideva con l’asetticità della cellula: fogli incollati alle pareti, schemi tracciati da mani incerte, formule matematiche incomprensibili, vestiti lasciati sul pavimento, resti di imballaggi.
-Aveva fretta il nostro amico-
Disse sarcastico Biz
-Pare di sì, però ha lasciato qui la valigia-
Osservò Sandoval, raccogliendo una valigetta dal letto.
Marvin gli si avvicinò e fece scattare il dispositivo di chiusura, dopo una veloce analisi della serratura.
-Solo un cambio di biancheria e un plico di fogli-
-Manoscritti, sembrerebbe un diario-
Berved lo prese e osservò la scrittura.

Giorno 1
Siamo arrivati al complesso di Reclav stamattina presto, quando era ancora buio, dopo aver viaggiato tutta la notte in un aereo senza finestrini. Non ci stanno trattando male, ma tutto il personale  è iper-organizzato e molto distaccato. Ad ogni ricercatore è stato assegnato una cellula abitativa. Mi sono portato alcuni libri per leggere, però questa luce blu non mi renderà la vita facile.
Tutto è pensato perché la giornata si sviluppi in maniera ciclica e produttiva: sveglia, colazione, LAVORO, pranzo, LAVORO, cena, riposo.

Il Tenente sfogliò le carte fino ad arrivare al giorno 54, l’ultimo annotato.

Giorno 54
Oggi non mi sento per niente bene, ho continui capogiri e i primi sintomi si stanno manifestando anche su di me. Ieri ho dovuto fare l’iniezione letale al Dottor Julian, l’unico forse con cui avevo legato veramente tanto. Ma aveva chiesto che fossi io, in caso, a dargli l’ultimo saluto. Mi chiedo cosa succederà quando non ci saranno più dottori per fare le iniezioni, i soldati useranno le armi? Come mai loro non si ammalano?
Mi capita spesso di ripensare a casa e alla mia vita precedente. So già che non potrò mai più rivedere quegli affetti, sono anche io destinato a morire qui, sono un medico, e capisco ciò che mi sta succedendo. Se solo avessimo…

Berved si bloccò nella lettura: sentì un rumore sordo provenire dalla direzione dell’ascensore e poi tutto l’ambiente cadde improvvisamente nel buio, anche l’uovo si spense.

  

I'm so sorry!

Mi dispiace annunciare che il blog rimarrà "fermo" per qualche tempo: sono calamitato completamente da un altro progetto, ma a breve Mac e soci torneranno a Reclav, più agguerriti che mai!!!

17. UNIVERSITY LECTURE


Mi lancio dentro la porta e corro a perdifiato per i locali abbandonati, ingombri di robaccia e cianfrusaglie. Sento ancora i segugi abbaiare furiosi all'esterno e questo mi dà una marcia in più. Trovo una scala con la balaustra di vetro frantumata e la salgo tre gradini alla volta, sperando di non scivolare sui pezzi di cristallo. Il piano in cui arrivo deve essere quello delle aule, porte tutte uguali si ritmano sulle pareti.
Corro, corro, corro e corro, cercando invano un luogo dove nascondermi.
Inciampo sullo scheletro di una sedia e sbatto violentemente contro la parete, ferendomi il viso e la gamba. Vedo un cartello indicante i laboratori più avanti, che fortuna! Mi dirigo veloce in quella direzione, sperando di avere ancora tempo.
Il latrare ora è amplificato e sottolineato da un effetto eco. Sono entrati!

La schiuma giallastra imbrattava il bavero della giacca mimetica del prigioniero, i cui occhi vitrei osservavano l’intorno, accusatori.
- La capsula di veleno deve essere stata impiantata nella parete interna dello stomaco e comandata da un impulso nervoso-
Esordì Sandoval, la cui diagnosi innervosì il caporale Biz
- Mi chiedo come un Agente possa sapere queste cose?-
Mac si inginocchiò vicino al corpo, osservandone le iridi.
- Dal colore degli occhi credo fosse un neuro inibitore, ne ho visti gli effetti spesso, in passato-
- Qualcuno mi spiega cosa succede?-
Domandò Berved, mettendo a tacere le proteste di Biz.
- Tenente, come Agente ho avuto spesso a che fare con farmaci illegali, tra questi arrivava nelle strade anche qualche partita di roba militare, usata come veleno dalle spie o dalle forze speciali, che spesso la nascondono nello stomaco.-
- E qualcuno pagherebbe per ridursi così?-
Varmit si intromise, indicando sorpreso il corpo a terra.
- Certo che no, se tagliato con un basico, un neuro inibitore riduce dell'85% la sua carica letale. Così possono strafarsi o commettere idiozie senza sentire dolore o paura.-
Berved guardò l'orologio e disse:
- Ci resta poco tempo per la prima finestra di esfiltrazione possibile, lasciamo qui il corpo e muoviamoci verso l'interno del complesso-
Tutti presero posto in formazione e controllarono armi ed equipaggiamento, Varmit agganciò il railgun all'esoscheletro di supporto dorsale e ne estrasse un corto fucile multi canna.

I mastini entrano, con le unghie ticchettanti, nella stanza. Dal mio nascondiglio non vedo nulla, se non la nuvoletta di vapore della respirazione. Spero che il forte odore di solventi e altre sostanze chimiche nasconda il mio. Con passi lenti un cane si aggira intorno ai tavoli, mentre l'altro è fermo sulla soglia, con le orecchie tese in aria. Improvvisamente i due si girano di scatto e si dirigono al galoppo verso un altro piano: ne sento i mugolii rimbombati dal vano scale.
Cauto esco dal ripostiglio e, sicuro di essere solo, mi metto alla ricerca del bottino. Devo sbrigarmi, prima che arrivi anche qualche Divoratore, o che i due mostri tornino sui loro passi. Inoltre i vapori delle sostanze presenti mi stanno facendo uno strano effetto, mi gira la testa e la vista mi si annebbia.

I locali amministrativi, comprensivi di segreteria, uffici ed archivio, furono bonificati velocemente e la squadra passò oltre, giungendo in un atrio su cui si stagliava una pesante porta metallica. Il sistema di chiusura era a ruota, come quello presente nelle vecchie navi da guerra. Dopo aver ricevuto l'ordine Varmit le si avvicinò e face forza sul meccanismo. Senza quasi produrre suoni questo si sbloccò e permise al mitragliere di aprire cauto la porta. Dietro quella che doveva essere stata la sala principale del reattore, alta più di quindici metri, con un vistoso cratere bruciato nel centro del pavimento. La sua profondità sarà stata di una decina di metri.
Sandoval osservava intorno a sé incuriosito, mentre gli altri percorrevano gli spazi con la concentrazione professionale del soldato abituato alla battaglia.

Ho girato vari laboratori, dopo essermi fatto una mascherina di fortuna con parte di un camice lacero. Sono finalmente arrivato in una stanza piena di macchinari, bruciatori e ampolle. In un angolo, sopra un mobile d'acciaio, vedo il maledetto aggeggio del professore.
Lo afferro, è veramente pesante! Devo trovare qualcosa per trasportarlo.
Sento dei rumori provenire dal corridoio: vetri rotti, porte sbattute e qualche secco ordine e osservazione. Mi appiattisco contro il muro, cercando di intuire i loro movimenti attraverso la fessura della porta, ma il corridoio è troppo buio e la vista è ancora annebbiata dai vapori chimici.
Riesco ad intuire il loro numero: due!
Se faccio in fretta e sono fortunato dovrei cavarmela!
Il primo arriva davanti alla porta, si ferma e scambia un paio di parole con il secondo, che ha tre vistose creste sulla testa rasata. Poi spinge l'uscio. Indugia un attimo di troppo, permettendomi di agguantargli il polso e tirarlo a me. Colto alla sprovvista perde l'equilibrio, cadendo in ginocchio, con il polso sempre in leva articolare.
Un automatismo che non credevo di avere mi muove e fa partire una poderosa ginocchiata al setto nasale, seguita dell'agghiacciate scrocchio, colonna sonora della sua dipartita.
Numero due, il punk, guarda me, poi il suo compagno, poi nuovamente me, estrae, quasi ringhiando, una lama ricurva e mi si lancia contro. I movimenti seguenti non riesco a controllarli del tutto: parate strette, leve, disarticolamentti, colpi secchi e precisi, graffi, morsi. Al termine di quelli che mi sembrano minuti lunghissimi, mi trovo disteso a terra, sporco di sangue, in più punti lacerato e contuso. Al mio fianco il viso del punk ha assunto uno strano ghigno, scomposto, tirato. Il suo collo è in una posizione innaturale, quasi fosse un gufo. Mi alzo e, ancora costernato per l'accaduto, mi rendo conto che il primo Divoratore porta sulle spalle un piccolo zaino. Lo raccolgo e lo svuoto sul pavimento, indifferente. Pongo al suo interno l'attrezzatura da laboratorio, esco in corridoio, scendo le scale, esco da una porta secondaria, che riesco a sbloccare, e fuggo attraverso il labirinto di edifici del campus.

- E adesso?-
Chiese Biz guardando il grosso vano elevatore.
- Ottima domanda Caporale, ottima domanda!-
Davanti al Tenente e al resto della squadra faceva bella mostra di sé una console da ascensore con una cinquantina di pulsanti, senza targhette identificative.

Dopo circa un'ora penso che non mi stiano inseguendo, forse domani si metteranno alla ricerca, ma per oggi il numero di sobri probabilmente non permette una battuta di caccia proficua. Decido di tornare il più velocemente possibile all'ospedale.
La desolazione circostante mi fa pensare ad una lezione a cui assistetti all'università.
A dire il vero non ho mai frequentato gli ambienti accademici, preferendo i bassifondi e le sale da thè, rinomati centri di raccolta di hacker e netsurfer, ma mi ero innamorato. Avevo acconsentito nell'accompagnare Carmen a lezione: Filosofia dell'uomo futuro, ritrovandomi poi rapito dal docente.
Solo oggi, circondato da questa violenza, diversa da quella cittadina, dettata dal profitto smodato, capisco in toto le sue parole: la iper tecnologia ha aumentato il gap tra il basso e l'alto, tra il debole e il potente. Nell'era degli impianti neurali, delle comunicazioni super veloci e degli organi potenziati, esisteranno individui che vivranno in uno stato tribale, dando importanza ad aspetti ed oggetti, reputabili dai più, inutili. Uccideranno, saccheggeranno e ameranno in una commistione di violenza e sentimenti simili all’istinto primordiale dell’animale, distaccandosi del tutto dall’idea di “uomo del futuro”, candida essenza utile per il marketing.
In effetti ho paura di chiedermi a quale delle due realtà si avvicini maggiormente ciò che ho fatto ultimamente, temo di avere già una risposta.

16. BREAKAWAY


I festeggiamenti sono iniziati ormai da diverse ore e gran parte dei miei carcerieri sono stramazzati al suolo ubriachi o si trascina barcollante nella stanza. È strano come la morte di un membro della loro tribù, o forse è meglio dire banda, non li dispiaccia affatto. Mi è stato detto che ogni combattimento, ogni vittoria e ogni morte deve essere festeggiata con un banchetto. Sono stato portato, libero da catene, fino ad un lungo tavolo imbandito, posto in quella che doveva essere stata la mensa, e fatto sedere vicino al capo. Abbiamo mangiato carne prelibata, che mi è stata portata già tagliata, così da non poter accoltellare nessun’altro, e bevuto un distillato di tuberi rossi. Il gusto deciso ed aspro mi ha ricordato la mia infanzia.
Mi guardo intorno: il capo è da tempo andato a continuare i festeggiamenti con diverse ragazze e l’interesse nei miei confronti si è visibilmente affievolito. Solo un uomo, che non ha toccato né cibo né distillato, è appoggiato ad una colonna vicino alla porta d’ingresso. Mi osserva da quando sono entrato. Credo sia la mia guardia.

Il cancello cedette sotto la spinta del pesante mezzo, piombando nella fanghiglia ghiacciata. Tutta la squadra entrò cauta nello spiazzo antistante il complesso, controllando ogni settore. Quando raggiunsero la porta da cui erano uscite le guardie si misero in fila indiana a sinistra della porta, mentre Mac si posizionò dall’altro lato.
Berved fece cenno a Rudolf, rimasto nella cabina del camion, e questo entrò dal cancello e parcheggiò in retromarcia vicino all’ingresso. Scese e si posizionò in coda alla fila. Marvin si staccò dal muro e, dopo aver passato un apparecchio grande come un pacchetto di sigarette sulla porta, indicò a gesti, secchi e precisi: “uno, armato, inginocchiato verso la porta, dieci metri, circa”. Poi tornò al suo posto.

Mi alzo e simulo un giramento di testa, già da metà pasto fingevo di mandare giù il liquore. Mi incammino barcollando verso la guardia, guardandomi in giro e parlottando tra me e me. Arrivatogli davanti, mi appoggio a lui pesantemente. Non lo guardo negli occhi, anzi mi osservo divertito i piedi.
- Forza, spostati!-
Mi dice quasi compassionevolmente, pensa proprio sia ubriaco marcio.
- Dai amico, devo solo andare in bagno, dai-
- Adesso ti ci accompagno, ma toglimi le mani di dosso!-
Detto questo mi abbassa le braccia di scatto, facendomi quasi perdere l’equilibrio.
Percorriamo corridoi bui e sporchi fino ad una parete con due porte. Mi indica quella di destra, il cui legno precompresso ha assorbito molta umidità, incurvandosi a dismisura.
I cardini cigolano, ma l’anta sembra reggere, entro. Anche il mio accompagnatore varca la soglia e mi afferra l’avambraccio, portandomi verso un orinatoio sbeccato.
- No, devo fare altro-
Sbuffando fa dietrofront e mi spinge verso un water posto tra due separé. Faccio per chiudere la porta, ma con una manata blocca il movimento. Con un’alzata di spalle traffico con la patta, abbasso i pantaloni e, rialzandomi, afferro lo scopettino. Il movimento lo porta in collisione con il viso della guardia e il suo disgusto mi permette di lanciarmi a testa bassa verso il suo ventre. Riesco a sentire il diaframma contrarsi troppo tardi e l’aria uscirgli dai polmoni. Purtroppo ho i pantaloni a legarmi le caviglie, così cadiamo entrambi sul pavimento di mattonelle luride. Mi allungo verso la sua testa e mi trovo il viso imbrigliato da una mano, puzza di cipolle e polvere. Faccio forza sulle gambe e, invece di divincolarmi, portandolo probabilmente a strapparmi le palpebre, mi lancio numerose volte verso di lui, premendo intanto più che posso vicino al suo bicipite per raggiungere il nervo mediano. Al terzo tentativo il braccio si ritrae di scatto, lasciandomi libera la faccia. Cerca di raggiungermi con un pugno, ma sono già in ginocchio. Lo batto sul tempo, mi alzo e riabbottono i pantaloni.
Senza pensarci due volte gli scarico due calci diretti al viso, di cui il secondo ad ascia, che lo colgono impreparato e lo lasciano esanime.

Il Tenente fece segno a Mac indicando due volte consecutive il palmo della mano sinistra con l’indice destro: irruzione!
Questo si girò di schiena e scaricò un poderoso calcio posteriore alla porta, che si aprì subito. Intanto Biz lanciò dentro una granata stordente, che esplose un attimo dopo.
I mercenari si precipitarono dentro, disarmando e immobilizzando il soggetto, accecato e reso sordo dall’esplosione. Non c’era dubbio: ora tutti sapevano che erano entrati nel complesso!
L’interno era ben tenuto, con vernice lavabile fino a due metri dal pavimento in plastica. Il soldato venne trascinato nell’ufficio adiacente l’ingresso, in cui un fornelletto stava scaldando dell’acqua.
- Chi siete?-
Si permise di domandare aggressivo appena le orecchie smisero di fischiare. Varmit gli si avvicinò svelto e gli stampò la suola dello stivaletto da combattimento nel petto, schiacciandolo contro la parete.
- Azzardati ancora a parlare quando non interpellato e ti cucino con quell’affare!-
Berved si avvicinò non curandosi dello scatto del sottoposto, sapeva quanto la violenza potesse smuovere l’animo degli interrogati.
- Come vedi siamo un po’ tutti nervosi, questo perché ci avete sparato addosso, sai?-
- Io non vi ho sparato!-
- Infatti è per questo che sei ancora vivo, però dovresti essere anche così gentile da dirci che cosa ci fate qui.-

Una volta nascosto il corpo in un bagno apro la porta guardingo, per assicurarmi che nessuno abbia sentito la colluttazione.
Il corridoio è deserto.
Mi avvio a passo svelto nella direzione opposta rispetto alla mensa e trovo quasi subito una mappa scolorita alla parete, un piano di evacuazione si direbbe, vista la presenza di frecce e di simboli antincendio. Sono nell’edificio adibito a refettorio della facoltà di ingegneria. Riesco ad individuare l’uscita più vicina e mi dirigo verso la doppia porta a vetri.
Esco nella luce del tramonto e percepisco un freddo pungente sulla punta del naso. Durante la prigionia mi sono state prese la giacca e il berretto pesanti, per non parlare dei guanti termici. Individuo l’edificio obiettivo e studio il terreno intorno.
Nessuno in vista.
Mi lancio di corsa attraverso l’erba ghiacciata, cadendo più volte. Non sento più le mani, ma arrivo fino all’ingresso. Lancio una veloce occhiata all’interno quando, dal refettorio, giungono latrati.
Hanno liberato i cani quei bastardi!

- Signore, mi scusi-   
Disse con voce monotono il servitore
- Dimmi-
- Mi aveva istruito per informarla nel momento in cui fossero entrati nel complesso-
- Grazie, puoi ritirarti-
Il servitore si allontanò con una riverenza perfetta e chiuse la pesante porta.
Il sigaro emanava un denso fumo che si innalzava in morbidi circoli verso il soffitto finemente intarsiato, mentre un sorriso malvagio andava delineandoglisi sul viso.

15. THE ARENA


L'odore acre che aleggia nella stanza trafigge il sistema recettivo come uno stiletto, tanto che un riflusso di bile mi solletica l'ugola, ma riesco a ricacciarlo in fondo alla pancia con una lunga sorsata di acqua, presa da una ciotola lasciata sul pavimento. Solo ora mi rendo conto delle catene serrate alle caviglie con pesanti manette. Tutto intorno l'ambiente suggerisce che mi trovo in una prigione, o almeno è quello che ora è diventata questa stanza. La finestra è coperta con stracci e pochissima luce riesce a filtrare. Abbastanza però per rendermi conto del sangue lasciato sul pavimento, nel punto in cui avevo appoggiato la tempia. Mi tocco delicatamente un lembo di pelle arricciata e subito una fitta atroce mi fa quasi urlare.
Altro che diretto, quel bastardo doveva avere un qualche tirapugni o addirittura un innesto sottocutaneo.
- Ben svegliato-
Mi giunge una voce da oltre la grata della porta.
- Chi sei?-
- Solo un altro povero diavolo, esattamente come te-
- Dove siamo? Siamo prigionieri?-
- Non saprei se definirci così, quanti anni hai?-
- Ventotto, perché?-
- Ah, allora non sei un prigioniero, io sì che lo sono, ma tu assolutamente no!-
- E cosa sono allora?-
- Sei molto peggio ragazzo, molto peggio-

Varmit raggiunse di corsa il camion
- Non abbiamo tutto il giorno, signori! Entriamo prima che si accorgano del guasto?-
- Idee?-
Domandò Mac
- Il cancello è elettrificato?-
Berved prese un bastone umido e lo lanciò contro la rete metallica, nessuna scintilla o sfrigolio.
- Credo sarà più semplice di quello che pensavamo-
Venne però interrotto da una lunga scarica di fucile automatico, alcuni colpi arrivarono vicini, andando ad infrangere il fanalino posteriore sinistro. L'automatismo del militare professionista si mise in moto, generando un fuggi fuggi solo apparentemente disordinato verso ripari naturali o artificiali. Marvin iniziò, appena inquadrata la minaccia, a infilare un colpo dietro l'altro. Purtroppo la scarica proveniva da un mezzo da ricognizione leggero, che ora stava correndo a tavoletta lungo la striscia di asfalto a ovest del complesso, quindi i colpi furono veramente imprecisi. Arrivata a un centinaio di metri la jeep di fermò con uno stridio di gomme e derapò fino a mettersi perpendicolare alla strada. Il cecchino non poteva chiedere di meglio e freddò il servente alla mitragliatrice.
Intanto anche il resto della squadra aveva iniziato a rispondere al fuoco, approfittando della confusione. I nemici vennero investiti da un fuoco di sbarramento letale che lasciò a terra, esanimi, altri due soldati. Altri due, però, si nascosero dietro i pesanti pneumatici anti mina. Senza aspettare un attimo Mac scattò fuori dal suo nascondiglio, andando incontro alla jeep con il fucile spianato, dopo pochi attimi anche Biz lo seguì. Coperti dai compagni riuscirono ad arrivare fino al mezzo, ormai crivellato di colpi, e prendere i due superstiti ai fianchi, che vennero colpiti senza possibilità di rispondere.
- Libero!-
Urlò Biz volgendosi indietro. Anche gli altri ripeterono l'esclamazione una volta assicuratisi che il settore di competenza fosse sgombro di minacce.
- Stesso simbolo sul braccio, Signore-
Riferì Mac
- Lo supponevo! Ci sono piombati addosso come avvoltoi, ci avranno avvistato da lontano-
- Marvin, qualcosa sui sensori?-
- Niente Tenente, nessun bip!-
Sul display retinico un cerchio blu pulsante, simile a quello dei radar del secolo scorso, non evidenziava minacce. Però Marvin, come la maggior parte dei membri della squadra, sapeva per esperienza che spesso quella tecnologia commetteva errori, soprattutto se il nemico utilizzava strane leghe di metalli.
Inoltre il sistema era in grado di segnalare esclusivamente ciò che era in movimento.

- Cosa intendi per molto peggio? Vecchio-
Questo mi fa innervosire, misterioso nel momento meno adatto!
Una porta in fondo al corridoio si apre rumorosamente e non riesco a percepire la risposta del mio vicino di cella.
- Oggi avremo un bello spettacolo-
Esclama con voce gutturale la silhouette nera come la notte oltre la grata. La serratura cigola acuta. L'ombra afferra le mie catene e, dopo averle sganciate dalla parete, mi trascina fuori, faccio appena in tempo ad alzarmi in piedi. Al termine del corridoio vengo investito da una luce accecante e i muscoli delle gambe cedono. Il carceriere, di cui ora vedo solo gli stivali di pelle consumati, si gira e mi strattona.
Con fatica mi rialzo, la testa mi esplode, sembra quasi che il cervello voglia uscire dalla ferita alla tempia.
Vengo condotto in mezzo ad un campo da basket, lo riconosco dalle linee scolorite del campo, perché i canestri sono scomparsi, lasciando dei fori nel suolo, ora pieni di acqua stagnate. Intorno, su gradinate sgangherate, ci saranno una cinquantina di uomini e donne, tutti vestiti con i colori della gang, che urlano e mi indicano.
Ho visto altre volte combattimenti tra galli, e iniziavano tutti così!
Dall'altro lato del campo viene portato un altro ragazzo, a petto nudo. Diversi tatuaggi segnano la pelle chiara, intersecati da vistose cicatrici.
- Come vedete abbiamo un ospite-
Tuona un uomo, vestito con un'accozzaglia di stili e colori diversi. Una lunga barba, tagliata a punta, gli adorna il viso, ormai non più giovane. Deve essere il capo, perché tutti si sono zittiti e lo guardano con un misto di ammirazione e terrore.
- Come sapete, le tradizioni sono importanti! Per questo il nostro ospite si batterà con Tey, macchiatosi della colpa di aver rubato nella dispensa. Il combattimento sarà all'ultimo sangue!-
Le ultime parole vengono accolte da un'alta ovazione del pubblico, subito sedato da un gesto del capo.
- Per rendere più interessante il tutto-
Lancia un coltello da caccia in mezzo al campo. La lama non ha tempo di rimbalzare nemmeno, che la prendo al volo e la brandisco come mi insegnò un amico d'infanzia.
In questo modo la lama riane celata dietro all'avambraccio, rendendone più difficoltoso il controllo da parte dell'avversario.
Tey cerca di avventarmisi addosso, con un calcio frontale. Non mi raggiunge, ma capisco subito le sue capacita: non si è sbilanciato, anche se fuori bersaglio.
Attacca di nuovo, una serie di diretti e ganci.
Paro a fatica i colpi, potentissimi e, approfittando di una piccolissima finestra nella sua difesa, schivo l'ennesimo diretto, mi abbasso e gli allungo un rovescio con il coltello all'inguine.
Dalla ferita schizza fuori un getto porpora, denso e caldo. L'avversario cade, tenendosi la gamba. Ne approfitto, mi porto dietro di lui, mi abbasso, gli afferro i capelli unti e tiro con forza all'indietro. Un unico movimento, fluido, veloce, letale. Lascio la presa e il corpo, reso un contenitore vuoto, cade quasi a rallentatore. La folla è in silenzio, sbigottita. Servono un paio di minuti perché scoppi un boato sovraumano, sfolgorante. C'è un nuovo campione, un gladiatore, un idiota armato di coltello, accecato dal terrore e degno del miglior buco di culo di arena!

14. SLIT & DAFS


Varmit aveva provato con tutti i dialetti di derivazione russa che conosceva, ma i prigionieri non avevano dato segno di comprensione. Avevano provato con l'inglese, addirittura il mexislang, la lingua dei ghetti latino-americani.
- Sembra che non capiscano niente, chissà da dove vengono-
Disse il mitragliere scendendo dal cassone e dirigendosi verso Berved.
Biz arrivò di corsa.
- Signore, ho trovato questa addosso all'autista.-
- Una tessera magnetica? Nessuna scritta né simbolo...-
- È una chiave magnetica, spesso le utilizzano i trafficanti in città, solo il ricevente e il venditore conoscono cosa apre, è il principio dei vecchi armadietti nelle stazioni.-
Intervenne Sandoval
- Forse serve per aprire il cancello del complesso. Marvin, che idea ti sei fatto delle procedure di avvicinamento?-
Il cecchino era sceso dal rudere ed ora stazionava, prono, sotto un basso arbusto spinoso.
- Non ho potuto fare una ricognizione approfondita, ma dalle scie magnetiche vicino al cancello ci sono sistemi elettronici, non posso dire di che tipo. Però se attuiamo un avvicinamento da sud, attraverso un canale di scolo, possiamo arrivare a distanza di tiro utile.-
- Ottimo, è deciso allora, Varmit e Marvin si avvicineranno da sud e copriranno il resto della squadra nel camion. Se il sistema è automatizzato e riusciamo a passare il gate voi rappresenterete la squadra di sicurezza esterna. Avete trenta minuti da adesso per essere in posizione. Canale radio sessantadue, step più due perle emergenze.-
I due soldati raccolsero le loro cose e iniziarono subito l'aggiramento. La strada da fare non era moltissima, ma, una volta giunti a distanza ravvicinata dal complesso, avrebbero proceduto strisciando nel canale.
Intanto Berved si era messo alla guida, al fianco di Biz. Le macchie di sangue erano state ripulite sommariamente dal vetro e dalla parte alta della cabina. Rudolf era salito nel cassone, insieme a Mac, mimetizzandosi tra i deportati. Le armi nascoste, ma sempre a portata di mano. Attesero ancora qualche minuto, accesero il motore e si diressero verso il complesso.

Questo scienziato non ha capito che sono solo un tecnico informatico, forse mi crede un mercenario assetato di sangue, magari ex forze speciali. Mi manda a recuperare un aggeggio nel covo di questi fantomatici Divoratori. Cosa sono non l'ho capito bene, sarà una qualche banda di predoni. Certo, predoni versus tecnico disarmato! Prospettiva ottimale per finire qualche metro sotto terra!
Sono arrivato fino al termine del lungo edificio ospedaliero e mi inoltro nel quartiere universitario. Mi ha spiegato che ingegneria è oltre il refettorio, riconoscibile, questo, dalla grande meridiana dipinta sopra l'ingresso.
Eccolo! È incredibile come quella generazione di uomini rincorresse vezzi artistici e architettonici antichi già allora. Supero finestre buie e porticati in cotto screpolato fino a quando avvisto il mio obiettivo: vetro, acciaio, cemento armato al grezzo. In alto, vicino al cordolo della copertura, a circa dieci metri d'altezza, risalta il nome dell'istituto. L'alluminio, trattato a specchio, ora è rigato e opacizzato dalle intemperie e dalla mancanza di manutenzione. Diversi pannelli di vetro della facciata sono scheggiati, altri completamente mancanti e sostituiti da tavole in precompresso. Lo spiazzo antistante l'ingresso è ingombro di rifiuti di tutti i generi e fusti di carburante vuoti, utilizzati come focolari per riscaldarsi.
Studio attentamente una pattuglia composta da tre uomini vestiti in pelle, con sulla schiena sgargianti simboli di vernice. Mi sorprendo nel vederli senza fucili o pistole, ma tutti hanno alla cintura un fodero da coltello.
Sento un fruscio alle mie spalle, mi congelo.
Attendo un secondo, cercando di percepire qualche altro rumore, ma niente.
Mi giro.
Di fronte a me, a pochi metri, un enorme punk mi squadra, soppesando un machete dalla lama sbeccata. Alle sue spalle un altro energumeno.
Il punk si avvicina, deciso
- Salve!-
Detto questo mi assesta un forte diretto alla mascella, mandandomi al tappeto. Ho solo il tempo di vedere che mi legano caviglie e polsi, poi perdo i sensi.

- Qui Lancia, vi vediamo, target a cento metri, nessun tango in vista, passo-
- Ricevuto Lancia, procediamo. Passo-
Mantennero un'andatura decisa, né troppo veloce né troppo lenta. Arrivarono fino al cancello. Le guardiole erano deserte, ma in quella di sinistra, dal lato guidatore, nel vetro era stato praticato un foro e applicato un lettore magnetico.
- Vediamo se ne è valsa la pena-
Disse Berved mentre avvicinava la tessera trovata addosso al cadavere del soldato.
Non successe nulla, nessun suono provenne dal macchinario.
- Papa, due tango sono usciti dalla struttura, lato est. Passo-
- Ricevuto, attendete.-
Biz si rivolse al Tenente
- Ancora niente?-
- No! Dobbiamo toglierci di qui!-
- Lancia, hai un tiro pulito, interrogativo-
- Negativo, raffiche di vento incostanti. Passo-
Le due guardie si accorsero del camion fermo al cancello e si mossero in quella direzione, non parevano allarmati.
- Papa, tango in avvicinamento alla vostra posizione. Passo-
- Li vediamo, niente comunicazioni fino a nuovo ordine. Chiudo-
I soldati erano ad una ventina di metri, quando Berved aprì lo sportello e fece un cenno di stizza nei confronti del lettore magnetico.
- Non funziona?-
Domandò una delle guardie.
- A quanto pare...-
- Sono i detriti portati dal vento che smangiano il sensore, è già la terza volta che lo cambiano-
Ormai era a pochi metri, appena al di là del cancello. L'altro stava armeggiando con la serratura congelata della garitta quando, alzando gli occhi, incrociò lo sguardo di Biz. Si fermò, come colto da un fulmine.
- Ehi, chi siete? Aspettavamo Slit e Dafs! Fatemi vedere i tesserini!-
La canna del fucile venne alzata, fino a traguardare la cabina del camion. Anche l'altra guardia si mise in posizione di caccia.
- Scendete e mettete le mani sopra la testa, fuori i tesserini!-
- Stiamo calmi, non succede niente, Slit stava male e hanno mandato noi, che problema c'è?-
- Il problema c'è eccome, Slit è morto due mesi fa!-
- A terra!-
Urlò Mac, saltando fuori dal telone del cassone e sparando due colpi precisi in testa della guardia più vicina. Nel frattempo Marvin centró l'altro, tutto si concluse in pochi attimi, senza rumori grazie ai soppressori. Berved si tirò su da terra e si ripulì la divisa piena di nevischio.
- Ottimi tiri, ad entrambi. Prepariamoci al comitato di benvenuto, siamo in tv-
Indicò la telecamera sopra il cancello, ma si rese conto del grosso foro nell'oculare.
Rudolf aveva ancora la pistola fumante quando gli si accostò.
- Essere un poliziotto non preclude il saper usare un'arma, che ne pensa?-
- Ha fottutamente ragione il mio sbirro preferito! Ora vediamo di entrare in questo cazzo di posto!-

13. LEASE CONTRACT


Seguo Doc attraverso corridoi e sale d'attesa deserte. Se non fosse per la mancanza di elettricità, il freddo e l'umidità, si direbbe che l'ospedale sia ancora in funzione. Il  pavimento, in polimero antibatterico, è intonso e il mobilio al suo posto. Solo il banco dell'accettazione è in disordine, con cartelle sanitarie e fogli distribuiti alla rinfusa sul pavimento.
- Sembra tutto così strano!-
- Vero? Anche a me ha fatto questo effetto la prima volta. L'ospedale è stato l'ultimo ambiente ad essere evacuato e la sicurezza era assicurata dalle forze armate. Così, mentre nl resto della città imperversavano saccheggi e razzie, qui tutto andava avanti come un orologio svizzero-
Da molti anni la Svizzera non aveva più il primato nel campo dell'orologeria, non esisteva nemmeno più come Stato, inglobata nella Confederazione Eurasiatica, ma capivo comunque la similitudine.
Arriviamo ad una rampa di scale che scende, una striscia arancione sul muro la segue. Su di essa si stagliano caratteri cirillici, il cui significato è Laboratori/RX.
Doc scende i gradini, deciso. Giunti a metà accende la potente torcia e continua. Come farà a ricaricare la batteria?
Il corridoio in cui arriviamo è sicuramente più caldo, o è una sensazione dovuta all'agitazione? Continuo a seguire un estraneo, all'interno di questo posto spettrale, senza sapere nulla di lui. Sono messo bene!

- Tenente, venga a vedere!-
Chiamò Biz da dietro il camion. Raggiunto il caporale, Berved si issò oltre la sponda del cassone.
- Che mi venga un accidente, ma questi sono essere umani, donne, uomini, bambini!-
Una serie di facce terrorizzate ed emaciate lo guardavano, mute, quasi senza respirare.
Il Tenente scese dal predellino e si ritrovò di fronte alla squadra, solo Marvin mancava.
- Cosa ne facciamo Signore?-
- Varmit, non lo so, chi è questa gente e cosa ci fa qui?-
- A occhio sono prigionieri-
Disse Rudolf, salito nel cassone.
- Cosa glielo fa pensare, Agente?-
Sfottè Biz. Gli animi si stavano accendendo, quella sorpresa era molto al di là delle aspettative, soprattutto per la presenza dei bambini.
- Tutti hanno un marchio a fuoco sull'avambraccio, uno strano simbolo-
Il Tenente salì nuovamente e osservò un uomo anziano, lo sbirro aveva proprio ragione, qualcuno aveva marchiato queste persone come se fossero vacche.
-  Eccoci arrivati! Benvenuto nella mia umile dimora!-
La stanza che mi apre davanti è a dir poco sorprendente, sembra uscita da un albergo a quattro stelle: un letto con lenzuola pulite, un tavolo in legno curato, abbellito con fiori, immagino finti, addirittura un grammofono d’epoca. La luce, che proviene da una piantana color ottone, è calda e rende l’ambiente accogliente. C’è un retrogusto di vaniglia nell’aria, che mi fa venire subito fame.
- Sei rimasto senza parole, mio nuovo amico?-
- Credo di sì…non pensavo di trovare una stanza così bella in un posto come questo-
- Ci ho messo molto tempo sai? E la collezione si aggiorna di giorno in giorno-
Dice, tirando fuori dal pesante zaino un vaso di cristallo perfettamente conservato che, dopo essere stato spolverato con un panno, va a sostituire la brocca di plastica dei fiori finti. Si gira verso di me e mi sorride, come se aspettasse un complimento per la scelta del soprammobile.
- Molto bello! Ottima scelta. Ha qualcosa da mangiare Doc?-
Armeggia in uno stipetto intarsiato e ne estrae una confezione sigillata facente parte della IRP (Individualnovo Ratsiona Pitanee): stufato di manzo, cinquanta per cento di grasso con vent’anni di troppo sul groppone! La mia pancia, però, è inesorabilmente vuota da troppe ore e mi vedo costretto ad accettare e ingurgitare questo intruglio freddo, sembra vomito rappreso.
- Caro ragazzo, posso chiederti un favore? Diciamo che sarà dopo potrai per stare qui con me-
Gli rispondo con un cenno affermativo, mentre bevo un sorso di thè, proveniente probabilmente sempre da una IRP.
- Ho assoluto bisogno di un nuovo modulo ad irraggiamento stereoscopico per le mie ricerche.-
- Non ho idea di cosa sia Doc.-
Mi guarda e scoppia a ridere, poi, con un tono da maestro paziente mi dice:
- Un irraggiatore è uno strumento utilizzato per riscaldare un materiale, quello di cui ho bisogno è capace di riscaldare uniformemente e in pochi istanti qualsiasi cosa a 360 gradi.-  
- Ok, dove posso trovarne uno?-
- A nord dell’ospedale si trova il complesso universitario. Cerca la facoltà di ingegneria bio-meccanica, nell’edificio dei laboratori dovrebbe essercene uno ancora funzionante. Ecco un disegno di ciò che mi serve. Se tornerai qui con il modulo ti darò vitto e alloggio e diventerai mio assitente-
Mi consegna un foglio proveniente da un manuale di istruzioni del modulo.
- Sembra una specie di tubo al neon! Ma perché devo andare io a recuperarlo, se sa dov’è?-
- È qui che la cosa diventa interessante! Hai mai sentito nominare i Divoratori?-
Non so perché, ma non si preannuncia un buon affare.