I
festeggiamenti sono iniziati ormai da diverse ore e gran parte dei miei
carcerieri sono stramazzati al suolo ubriachi o si trascina barcollante nella
stanza. È strano come la morte di un membro della loro tribù, o forse è meglio
dire banda, non li dispiaccia affatto. Mi è stato detto che ogni combattimento,
ogni vittoria e ogni morte deve essere festeggiata con un banchetto. Sono stato
portato, libero da catene, fino ad un lungo tavolo imbandito, posto in quella
che doveva essere stata la mensa, e fatto sedere vicino al capo. Abbiamo
mangiato carne prelibata, che mi è stata portata già tagliata, così da non
poter accoltellare nessun’altro, e bevuto un distillato di tuberi rossi. Il
gusto deciso ed aspro mi ha ricordato la mia infanzia.
Mi guardo
intorno: il capo è da tempo andato a continuare i festeggiamenti con diverse
ragazze e l’interesse nei miei confronti si è visibilmente affievolito. Solo un
uomo, che non ha toccato né cibo né distillato, è appoggiato ad una colonna
vicino alla porta d’ingresso. Mi osserva da quando sono entrato. Credo sia la
mia guardia.
Il cancello
cedette sotto la spinta del pesante mezzo, piombando nella fanghiglia
ghiacciata. Tutta la squadra entrò cauta nello spiazzo antistante il complesso,
controllando ogni settore. Quando raggiunsero la porta da cui erano uscite le
guardie si misero in fila indiana a sinistra della porta, mentre Mac si
posizionò dall’altro lato.
Berved fece
cenno a Rudolf, rimasto nella cabina del camion, e questo entrò dal cancello e
parcheggiò in retromarcia vicino all’ingresso. Scese e si posizionò in coda
alla fila. Marvin si staccò dal muro e, dopo aver passato un apparecchio grande
come un pacchetto di sigarette sulla porta, indicò a gesti, secchi e precisi:
“uno, armato, inginocchiato verso la porta, dieci metri, circa”. Poi tornò al
suo posto.
Mi alzo e simulo
un giramento di testa, già da metà pasto fingevo di mandare giù il liquore. Mi
incammino barcollando verso la guardia, guardandomi in giro e parlottando tra
me e me. Arrivatogli davanti, mi appoggio a lui pesantemente. Non lo guardo
negli occhi, anzi mi osservo divertito i piedi.
- Forza,
spostati!-
Mi dice
quasi compassionevolmente, pensa proprio sia ubriaco marcio.
- Dai amico,
devo solo andare in bagno, dai-
- Adesso ti
ci accompagno, ma toglimi le mani di dosso!-
Detto
questo mi abbassa le braccia di scatto, facendomi quasi perdere l’equilibrio.
Percorriamo
corridoi bui e sporchi fino ad una parete con due porte. Mi indica quella di
destra, il cui legno precompresso ha assorbito molta umidità, incurvandosi a
dismisura.
I cardini
cigolano, ma l’anta sembra reggere, entro. Anche il mio accompagnatore varca la
soglia e mi afferra l’avambraccio, portandomi verso un orinatoio sbeccato.
- No, devo
fare altro-
Sbuffando
fa dietrofront e mi spinge verso un water posto tra due separé. Faccio per
chiudere la porta, ma con una manata blocca il movimento. Con un’alzata di
spalle traffico con la patta, abbasso i pantaloni e, rialzandomi, afferro lo
scopettino. Il movimento lo porta in collisione con il viso della guardia e il suo
disgusto mi permette di lanciarmi a testa bassa verso il suo ventre. Riesco a
sentire il diaframma contrarsi troppo tardi e l’aria uscirgli dai polmoni. Purtroppo
ho i pantaloni a legarmi le caviglie, così cadiamo entrambi sul pavimento di
mattonelle luride. Mi allungo verso la sua testa e mi trovo il viso imbrigliato
da una mano, puzza di cipolle e polvere. Faccio forza sulle gambe e, invece di
divincolarmi, portandolo probabilmente a strapparmi le palpebre, mi lancio
numerose volte verso di lui, premendo intanto più che posso vicino al suo
bicipite per raggiungere il nervo mediano. Al terzo tentativo il braccio si
ritrae di scatto, lasciandomi libera la faccia. Cerca di raggiungermi con un
pugno, ma sono già in ginocchio. Lo batto sul tempo, mi alzo e riabbottono i
pantaloni.
Senza pensarci
due volte gli scarico due calci diretti al viso, di cui il secondo ad ascia,
che lo colgono impreparato e lo lasciano esanime.
Il Tenente
fece segno a Mac indicando due volte consecutive il palmo della mano sinistra
con l’indice destro: irruzione!
Questo si
girò di schiena e scaricò un poderoso calcio posteriore alla porta, che si aprì
subito. Intanto Biz lanciò dentro una granata stordente, che esplose un attimo
dopo.
I mercenari
si precipitarono dentro, disarmando e immobilizzando il soggetto, accecato e
reso sordo dall’esplosione. Non c’era dubbio: ora tutti sapevano che erano entrati
nel complesso!
L’interno
era ben tenuto, con vernice lavabile fino a due metri dal pavimento in
plastica. Il soldato venne trascinato nell’ufficio adiacente l’ingresso, in cui
un fornelletto stava scaldando dell’acqua.
- Chi siete?-
Si permise
di domandare aggressivo appena le orecchie smisero di fischiare. Varmit gli si
avvicinò svelto e gli stampò la suola dello stivaletto da combattimento nel
petto, schiacciandolo contro la parete.
- Azzardati
ancora a parlare quando non interpellato e ti cucino con quell’affare!-
Berved si
avvicinò non curandosi dello scatto del sottoposto, sapeva quanto la violenza potesse
smuovere l’animo degli interrogati.
- Come vedi
siamo un po’ tutti nervosi, questo perché ci avete sparato addosso, sai?-
- Io non vi
ho sparato!-
- Infatti è
per questo che sei ancora vivo, però dovresti essere anche così gentile da
dirci che cosa ci fate qui.-
Una volta
nascosto il corpo in un bagno apro la porta guardingo, per assicurarmi che nessuno
abbia sentito la colluttazione.
Il corridoio
è deserto.
Mi avvio a
passo svelto nella direzione opposta rispetto alla mensa e trovo quasi subito
una mappa scolorita alla parete, un piano di evacuazione si direbbe, vista la
presenza di frecce e di simboli antincendio. Sono nell’edificio adibito a
refettorio della facoltà di ingegneria. Riesco ad individuare l’uscita più
vicina e mi dirigo verso la doppia porta a vetri.
Esco nella
luce del tramonto e percepisco un freddo pungente sulla punta del naso. Durante
la prigionia mi sono state prese la giacca e il berretto pesanti, per non
parlare dei guanti termici. Individuo l’edificio obiettivo e studio il terreno
intorno.
Nessuno in
vista.
Mi lancio
di corsa attraverso l’erba ghiacciata, cadendo più volte. Non sento più le
mani, ma arrivo fino all’ingresso. Lancio una veloce occhiata all’interno
quando, dal refettorio, giungono latrati.
Hanno
liberato i cani quei bastardi!
- Signore,
mi scusi-
Disse con
voce monotono il servitore
- Dimmi-
- Mi aveva
istruito per informarla nel momento in cui fossero entrati nel complesso-
- Grazie,
puoi ritirarti-
Il servitore
si allontanò con una riverenza perfetta e chiuse la pesante porta.
Il sigaro
emanava un denso fumo che si innalzava in morbidi circoli verso il soffitto finemente
intarsiato, mentre un sorriso malvagio andava delineandoglisi sul viso.
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