16. BREAKAWAY


I festeggiamenti sono iniziati ormai da diverse ore e gran parte dei miei carcerieri sono stramazzati al suolo ubriachi o si trascina barcollante nella stanza. È strano come la morte di un membro della loro tribù, o forse è meglio dire banda, non li dispiaccia affatto. Mi è stato detto che ogni combattimento, ogni vittoria e ogni morte deve essere festeggiata con un banchetto. Sono stato portato, libero da catene, fino ad un lungo tavolo imbandito, posto in quella che doveva essere stata la mensa, e fatto sedere vicino al capo. Abbiamo mangiato carne prelibata, che mi è stata portata già tagliata, così da non poter accoltellare nessun’altro, e bevuto un distillato di tuberi rossi. Il gusto deciso ed aspro mi ha ricordato la mia infanzia.
Mi guardo intorno: il capo è da tempo andato a continuare i festeggiamenti con diverse ragazze e l’interesse nei miei confronti si è visibilmente affievolito. Solo un uomo, che non ha toccato né cibo né distillato, è appoggiato ad una colonna vicino alla porta d’ingresso. Mi osserva da quando sono entrato. Credo sia la mia guardia.

Il cancello cedette sotto la spinta del pesante mezzo, piombando nella fanghiglia ghiacciata. Tutta la squadra entrò cauta nello spiazzo antistante il complesso, controllando ogni settore. Quando raggiunsero la porta da cui erano uscite le guardie si misero in fila indiana a sinistra della porta, mentre Mac si posizionò dall’altro lato.
Berved fece cenno a Rudolf, rimasto nella cabina del camion, e questo entrò dal cancello e parcheggiò in retromarcia vicino all’ingresso. Scese e si posizionò in coda alla fila. Marvin si staccò dal muro e, dopo aver passato un apparecchio grande come un pacchetto di sigarette sulla porta, indicò a gesti, secchi e precisi: “uno, armato, inginocchiato verso la porta, dieci metri, circa”. Poi tornò al suo posto.

Mi alzo e simulo un giramento di testa, già da metà pasto fingevo di mandare giù il liquore. Mi incammino barcollando verso la guardia, guardandomi in giro e parlottando tra me e me. Arrivatogli davanti, mi appoggio a lui pesantemente. Non lo guardo negli occhi, anzi mi osservo divertito i piedi.
- Forza, spostati!-
Mi dice quasi compassionevolmente, pensa proprio sia ubriaco marcio.
- Dai amico, devo solo andare in bagno, dai-
- Adesso ti ci accompagno, ma toglimi le mani di dosso!-
Detto questo mi abbassa le braccia di scatto, facendomi quasi perdere l’equilibrio.
Percorriamo corridoi bui e sporchi fino ad una parete con due porte. Mi indica quella di destra, il cui legno precompresso ha assorbito molta umidità, incurvandosi a dismisura.
I cardini cigolano, ma l’anta sembra reggere, entro. Anche il mio accompagnatore varca la soglia e mi afferra l’avambraccio, portandomi verso un orinatoio sbeccato.
- No, devo fare altro-
Sbuffando fa dietrofront e mi spinge verso un water posto tra due separé. Faccio per chiudere la porta, ma con una manata blocca il movimento. Con un’alzata di spalle traffico con la patta, abbasso i pantaloni e, rialzandomi, afferro lo scopettino. Il movimento lo porta in collisione con il viso della guardia e il suo disgusto mi permette di lanciarmi a testa bassa verso il suo ventre. Riesco a sentire il diaframma contrarsi troppo tardi e l’aria uscirgli dai polmoni. Purtroppo ho i pantaloni a legarmi le caviglie, così cadiamo entrambi sul pavimento di mattonelle luride. Mi allungo verso la sua testa e mi trovo il viso imbrigliato da una mano, puzza di cipolle e polvere. Faccio forza sulle gambe e, invece di divincolarmi, portandolo probabilmente a strapparmi le palpebre, mi lancio numerose volte verso di lui, premendo intanto più che posso vicino al suo bicipite per raggiungere il nervo mediano. Al terzo tentativo il braccio si ritrae di scatto, lasciandomi libera la faccia. Cerca di raggiungermi con un pugno, ma sono già in ginocchio. Lo batto sul tempo, mi alzo e riabbottono i pantaloni.
Senza pensarci due volte gli scarico due calci diretti al viso, di cui il secondo ad ascia, che lo colgono impreparato e lo lasciano esanime.

Il Tenente fece segno a Mac indicando due volte consecutive il palmo della mano sinistra con l’indice destro: irruzione!
Questo si girò di schiena e scaricò un poderoso calcio posteriore alla porta, che si aprì subito. Intanto Biz lanciò dentro una granata stordente, che esplose un attimo dopo.
I mercenari si precipitarono dentro, disarmando e immobilizzando il soggetto, accecato e reso sordo dall’esplosione. Non c’era dubbio: ora tutti sapevano che erano entrati nel complesso!
L’interno era ben tenuto, con vernice lavabile fino a due metri dal pavimento in plastica. Il soldato venne trascinato nell’ufficio adiacente l’ingresso, in cui un fornelletto stava scaldando dell’acqua.
- Chi siete?-
Si permise di domandare aggressivo appena le orecchie smisero di fischiare. Varmit gli si avvicinò svelto e gli stampò la suola dello stivaletto da combattimento nel petto, schiacciandolo contro la parete.
- Azzardati ancora a parlare quando non interpellato e ti cucino con quell’affare!-
Berved si avvicinò non curandosi dello scatto del sottoposto, sapeva quanto la violenza potesse smuovere l’animo degli interrogati.
- Come vedi siamo un po’ tutti nervosi, questo perché ci avete sparato addosso, sai?-
- Io non vi ho sparato!-
- Infatti è per questo che sei ancora vivo, però dovresti essere anche così gentile da dirci che cosa ci fate qui.-

Una volta nascosto il corpo in un bagno apro la porta guardingo, per assicurarmi che nessuno abbia sentito la colluttazione.
Il corridoio è deserto.
Mi avvio a passo svelto nella direzione opposta rispetto alla mensa e trovo quasi subito una mappa scolorita alla parete, un piano di evacuazione si direbbe, vista la presenza di frecce e di simboli antincendio. Sono nell’edificio adibito a refettorio della facoltà di ingegneria. Riesco ad individuare l’uscita più vicina e mi dirigo verso la doppia porta a vetri.
Esco nella luce del tramonto e percepisco un freddo pungente sulla punta del naso. Durante la prigionia mi sono state prese la giacca e il berretto pesanti, per non parlare dei guanti termici. Individuo l’edificio obiettivo e studio il terreno intorno.
Nessuno in vista.
Mi lancio di corsa attraverso l’erba ghiacciata, cadendo più volte. Non sento più le mani, ma arrivo fino all’ingresso. Lancio una veloce occhiata all’interno quando, dal refettorio, giungono latrati.
Hanno liberato i cani quei bastardi!

- Signore, mi scusi-   
Disse con voce monotono il servitore
- Dimmi-
- Mi aveva istruito per informarla nel momento in cui fossero entrati nel complesso-
- Grazie, puoi ritirarti-
Il servitore si allontanò con una riverenza perfetta e chiuse la pesante porta.
Il sigaro emanava un denso fumo che si innalzava in morbidi circoli verso il soffitto finemente intarsiato, mentre un sorriso malvagio andava delineandoglisi sul viso.

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