22. INTERROGATION


I nostri inseguitori sembrano scomparsi.
-Credi se ne siano andati?-
Mi domanda Doc guardando impaurito fuori dalla porta.
-Non penso, probabilmente sanno bene cosa si rifugia dietro a questa porta, gli basterà aspettare che usciamo-
Indico con un cenno l’uscio su cui sono appoggiato, che porta dentro al cuore dell’edificio.
-Cosa facciamo?-
Mi alzo e osservo la stanza in cui ci siamo riparati: doveva essere una reception, perché sono presenti molte sedie e un lungo tavolo, su cui troneggia un computer annerito.
-Aiutami a spostare questo tavolo per bloccare l’ingresso, aspetteremo che cali il buio e cercheremo di passare-
Bloccata la porta contro i predoni,  Doc spalma una generosa quantità di repellente intorno a quella interna, così le creature non si accorgeranno di noi una volta sveglie.
-Qualche ora prima del tramonto, cerchiamo di dormire-   

I primi sintomi della tortura non si fecero attendere a lungo, complice la stanchezza. Il primo fu Sandoval, l’unico che non aveva seguito un addestramento militare. Il suo parlottare sommesso, dettato dalle allucinazioni, rappresentava un tappeto sonoro indistinto, quasi una litania.
-Rudolf, parlami, dimmi come stai-
Cercò di intervenire Mac, ma una scarica a basso potenziale venne convogliata nel pavimento della cella, punendolo.
-Ogni tentativo di comunicare tra voi verrà punito-
Apostrofò una voce metallica, proveniente da un punto indistinto del soffitto.

-Sveglia Doc, possiamo andare-
Si alza barcollante, intontito dal sonno. Insieme spostiamo, in silenzio, la scrivania e apriamo lentamente la porta.
La luna è coperta dalle nuvole e ne filtra solo pochissima luce, quel tanto che basta per vedere i contorni degli oggetti vicini.
Prima di uscire ci impregniamo nuovamente i vestiti con la sostanza.
Per evitare di perderci decido che cammineremo mano nella mano, procedendo paralleli alla strada, ma discosti quel tanto che basta per trovare riparo tra gli alberi.
Il movimento è lento e attento, fino a quando un ramo, troppo basso e troppo scuro per essere visto, mi fa inciampare. Nella caduta tiro giù anche Doc, il quale emette un urlo gutturale per la sorpresa.
Dalla parte opposta della strada parte una corta raffica, che si perde nella notte.
Il Divoratore che ha sparato, probabilmente a causa del nervosismo, ora si starà sicuramente maledicendo, avendo rivelato la sua posizione.
Faccio per rialzarmi, ma la mano di Doc mi blocca, così porto l’orecchio a pochi centimetri dal suo viso.
-Aspetta e vedrai-
Pochi istanti dopo un ululato agghiacciante echeggia dall’edificio-tana e un forte rumore di passi, simile al galoppare di cavalli, si dirige verso il nascondiglio del cecchino. Le lunghe raffiche di colpi servono solo a rimandare di attimi la sua morte, sottolineata da un urlo e dal caratteristico rumore dei denti che masticano carne.     

Berved aveva passato l’esame di “detenzione ed evasione” a pieni voti, ai tempi del battaglione, ma ora non capiva come mai la sua testa stesse per esplodere. Ogni piccolo sussurro di Sandoval gli trapanava il cervello e, se lui stesso provava ad articolare qualche parola, non le sentiva. Da quanto tempo li avevano catturati? Era come se la sua cella lo avesse annientato.
La voce metallica gli strappò un grido acuto.
-Allontanarsi dalle porte, allontanarsi dalle porte-
Quando tutti eseguirono l’ordine, entrarono nel blocco celle tre lupi grigi, armati con una potente torcia dalla luce azzurrognola. Si fermarono di fronte a Mac e gliela puntarono in faccia, per accecarlo, mentre disattivavano il campo elettrico della porta.

Subito dopo l’attacco delle creature abbiamo corso e corso fino a quando i polmoni hanno retto e le gambe non sono andate in fiamme. Probabilmente grazie alla vita che aveva vissuto, Doc aveva una forma fisica invidiabile.
-Dovremmo essere arrivati ormai-
Dico con voce rotta dai lunghi respiri.
-Credo manchi ancora un chilometro, ma sono esausto-
-Sforziamoci di camminare fino a là, almeno poi potremo andarcene!-
Tiro su Doc e, sorreggendoci ai tronchi degli alberi infestanti, ci dirigiamo verso la nostra unica speranza.

Lo stanzino degli interrogatori era luminoso come un laboratorio scientifico, con due tecnici in camice bianco che armeggiavano intorno ad apparecchiature e un lettino chirurgico. Fecero distendere Mac e assicurarono gli arti con resistenti cinghie di cuoio.
Neanche vide arrivare lo schiaffo e la gomitata nello stomaco: i suoi occhi faticavano ad abituarsi a tutta quella luce.
-Tu devi essere Mac, giusto?-
Una macchia indistinta gli parlava. Un altro schiaffo, questa volta con un guanto rinforzato, che gli fece sanguinare il labbro.
-Sia chiaro fin da subito: io faccio le domande e tu rispondi. Chiaro?-
Un altro colpo, stavolta diretto al fianco, appena sotto le fluttuanti. Il dolore stava collaborando per fargli tornare la vista.
-Ricominciamo, tu sei Mac?
Appena prima del colpo poté vedere chi lo percuoteva.
-Generale! Sì, sono Mac-
Strenw si fermò con il braccio già caricato sopra la testa, ma non lo ritrasse, lasciandolo come monito.
-Fai parte di qualche reparto?-
-Negativo, siamo mercenari-
C’era da immaginarselo, pensò il Generale, con le corporazioni commerciali imperanti era impossibile che un’azione militare di così ridotta importanza venisse autorizzata. Ormai tutto veniva svolto dai mercenari.
-Se sei un mercenario avrai un padrone, chi è?-
-Non conosco il suo nome-
La mano calò, ma non lo colpì. Il generale si girò e fece un cenno ad un tecnico.
Una scarica elettrica venne convogliata attraverso le cinghie.
Mentre il Generale usciva, Mac era in preda alle convulsioni.   

21. SENSORY DEPRIVATION


-Finalmente ci incontriamo, Tenente.-
Berved era inginocchiato, faccia al muro, come i suoi compagni. Le armi erano state confiscate e giacevano impilate in un angolo. Cercò di alzare la testa, per vedere in faccia il suo interlocutore, ma un calcio nelle reni lo fece desistere.
-Le avevo detto di stare fermo, ma lasci che mi presenti: sono il Generale Frederik Strenw, Lupi Grigi-
Al suono delle ultime parole il gruppo di aguzzini emise un forte verso, simile ad un abbaio.
-Non ti conosco!-
Disse sfrontato Berved, passando insolente al “tu” e ricevendo un altro calcio.
-Credevo di parlare con ufficiale…mi sbagliavo?-
Un altro calcio obbligò Berved a rispondere in maniera rispettosa.
-Cosa volete da noi?-
Urlò Biz, richiamando l’attenzione del militare dietro di lui, che lo afferrò per il collo e lo trascinò indietro. Altri due gli misero uno straccio sulla bocca e un sacco di tessuto in testa, poi venne spinto nuovamente in posizione.
Il Generale alzò il tono della voce, minaccioso:
-Se non vi è chiaro, signori, se parlerete senza essere stati interpellati verrete puniti, con il vostro compagno sono stato benevolo, ma vi avverto, al prossimo mozzerò un dito! L’indice!-
Minacciare un mercenario o un soldato di recidergli di netto l’indice, utilizzato per tirare il grilletto, è un’efficace promessa.

La quinta trappola fece crollare parte del solaio in fondo al corridoio. Guardo Doc mentre si alza e corre verso il laboratorio.
-Cosa fai? Cosa impedirà a quel mostro di squartarci?-
Siamo dentro e, chino su un pannello di strumenti, alza un braccio e mi indica un angolo della stanza, in cui sono accatastati dei piccoli contenitori cilindrici.
Mi avvicino ad osservarli, non trovando nessuna etichetta o informazione utile sul contenuto.
-Questa è una sintetizzazione della secrezione delle piante del museo. Io la uso quando devo uscire all’aperto per tenerli lontani-
Si gira a guardare Sally. Mi sembra di vedere nei suoi occhi della malinconia. Quasi subito ritorna lucido come sempre e inizia a spruzzarmi addosso il composto mieloso.
Raccolgo un erogatore e mi metto al lavoro su di lui.
-Quanto tempo abbiamo?-
-Tra venti secondi è programmato il rilascio del liquido, poi prevedo un minuto di stasi dovuta al risveglio, ma sbrighiamoci, non vorrei sbagliarmi!-

Berved prese in mano la situazione, doveva cambiare strategia.
-Le assicuro che nessuno dei miei uomini le mancherà ulteriormente di rispetto. Dovranno risponderne direttamente a me, e non mi limiterò al dito indice.-
-Apprezzo l’impegno Tenente.-
-Se mi è concessa una domanda-
-Prego, la faccia pure. Dopo dovrà rispondere a molte domande, quindi gliene concedo una.-
-Ha detto “finalmente ci incontriamo”? Come mai?-
-È dalla dz (dropzone) che monitoriamo i vostri movimenti. Ammetto di aver provato quasi compassione quando vi siete infilati in una tana di quei mostri, ma ogni aspettativa è stata disattesa: siete sopravvissuti!-
-E perché ci avete fatto entrare nel complesso?-
-Non abbiamo sistemi di sorveglianza in ogni angolo, vi avevamo temporaneamente persi. Ma vi abbiamo ritrovati…-
Ride malefico e il gruppo lo imita.
-Ora basta con le domande, portateli nel blocco detentivo 3-

Quando il contenitore rilascia il liquido lo fa violentemente, inondando il pavimento del laboratorio con litri di gel. Doc quasi cade investito dall’onda alta trenta centimetri che gli colpisce le caviglie.
-Andiamo, sbrigati-
Incito Doc a raccogliere le sue cose e a fare strada nel corridoio. La visibilità è bassa a causa del fumo dovuto all’ultima esplosione, avvenuta al termine del corridoio. Un’alta cortina di fiamme sta impegnando i Divoratori, le cui urla si ergono sopra agli scoppiettii del fuoco. Corriamo dalla parte opposta, fino ad un armadio di derivazione, dietro il cui coperchio si cela un passaggio. Una volta entrati Doc posiziona un grosso cubo di materiale plastico vicino all’ingresso, tendendo un filo trasparente.
-Un’altra trappola?-
-Sì, ma spera che non capiscano da dove siamo fuggiti, c’è abbastanza esplosivo da far crollare tutto!-  

Il blocco detentivo era un vero e proprio carcere con un corridoio centrale su cui si aprivano piccole porte, niente sbarre. Vennero spinti ognuno in una cella singola, lunga poco meno di un metro e mezzo e alta altrettanto. Poi i campi di forza di chiusura vennero attivati e una barriera di luce rossa apparve, come per magia, tra gli stipiti.
-Benvenuti nella vostra nuova casa, signori miei-
Proruppe una voce da un altoparlante nel soffitto di ogni cella.
-I metodi di tortura sono stati aboliti da tempo, nel mondo civilizzato, ma questo è il mio mondo e ne posso fare ciò che voglio. Per questo proverete ciò che un tempo chiamavano “deprivazione sensoriale”. Dopo questa cura implorerete di potermi raccontare tutto quello che sapete-
La calma con cui il Generale declinò queste parole fecero venire i sudori freddi alla maggior parte degli uomini della squadra. Erano pochi quelli che non avevano mai sentito parlare, o addirittura provato sulla pelle, cosa fosse quella tecnica. Nel ventesimo secolo molti usavano delle terapie simili per curare alcuni disturbi, ma in seguito vennero abbandonate a causa delle controindicazioni psicologiche.

Il condotto di fuga doveva essere lungo almeno cinque chilometri, perché arrivati in fondo abbiamo entrambi il fiato corto e siamo grondanti di sudore, forse anche a causa dell’altissima percentuale di umidità presente.
-Vicolo cieco?-
Chiedo preoccupato vedendo la pesante grata d’acciaio.
-No, tranquillo-
Mi conforta Doc, mentre tira fuori una lunga chiave dalla tracolla.
Fuori il sole ha lasciato spazio ad un cielo terso e tra le stelle si possono facilmente identificare, dall’altissima luminosità, le stazioni spaziali delle maggiori superpotenze commerciali.
Rimango quasi incantato nel guardare quello spettacolo. Ecco un altro splendore di cui gli abitanti delle megalopoli non possono giovare, grazie a tutto l’inquinamento luminoso che generano con quei maledetti cartelloni pubblicitari.
-Riposiamoci un attimo, mangia qualcosa, ci aspetta una lunga marcia.-
Mi allunga una barretta energetica e una razione di acqua, che ingurgito in pochi minuti.

Mac, memore dell’addestramento S.E.R.E. (Survival, Evasion, Resistance and Escape), iniziò subito a cercare un modo per non distaccarsi dalla realtà. Sapeva che prima o dopo li avrebbero spogliati di tutto ciò che avevano e li avrebbero vestiti con tute senza disegni. Per ora aveva ancora l’orologio e iniziò ad osservarlo e a scandire insieme a lui il passare del tempo.

Marciamo ormai da diverse ore, alternandoci alla testa, così da permettere a entrambi di allentare un po’ la tensione, quando Doc mi ferma con un leggere suono della bocca. Mi congelo, timoroso. Lentamente mi si avvicina e mi sussurra:
-Stiamo per rasentare un edificio delle Anime, vedi quel palazzo basso e lungo?-
Mi indica quello che doveva essere un complesso per uffici, alto tre piani e lungo almeno trecento metri.
Le finestre, talmente scure che sembrano voler fagocitare il buio della notte, gli danno un aspetto minaccioso, quasi fossero una fila interminabile di occhi vuoti.  
-Mantieni un passo costante, senza fare rumore e, nel caso uscisse qualche abitante ricorda che siamo coperti di repellente. Continua a muoverti e non fare nessun movimento brusco. Intesi?-
Ci mettiamo quasi mezz’ora a passare l’edifico, stando attenti a non calpestare i cocci dei vetri delle automobili abbandonate lì davanti. Arrivati al termine del lungo muro, camminiamo ancora per una cinquantina di metri e ci fermiamo, sfiniti.
-Aspetta, aspetta, sono stanchissimo. Ci possiamo riposare un attimo?-
-Quanto dista il capanno di cui mi parlavi, Doc? –
-Ancora una decina di chilometri-
-Riposiamoci allora, appena un attimo però, non vorrei mai che quelle creature si accorgessero di noi-
Non riesco quasi a finire la frase che una lunga raffica di fucile d’assalto squarcia la notte, alzando spruzzi di terra e sudiciume tutto attorno a noi. Ci alziamo veloci e corriamo a più non posso nella direzione opposta agli spari: l’edificio!

20. MOUSETRAP


Ormai il Caporale Glid Frijn si era arreso all’idea che la sua capsula di NeuBell fosse difettosa. Aveva tentato di comandarne il rilascio appena iniziata la tortura, invano.
Sandoval gli si avvicinò in attimo di pausa, sussurrandogli nelle orecchie
-Meno male che il composto basico che ti ho iniettato in vena mentre ti legavo ha fatto il suo effetto. Se però ora vuoi morire, ti capirei-
Il prigioniero non era più legato, ma giaceva raggomitolato a terra, scalzo, con entrambi i tendini d’Achille erano recisi. Le ferite cauterizzate dal calore della lama ad energia.
Rudolf notò un guizza di speranza nei suoi occhi, il dolore aveva ormai superato la soglia di sopportazione, l’avrebbe portato alla pazzia. Fece segno di sì con la testa, colto da un tremore nervoso.
-Mi devi dire qualcosa però!-
-Siamo un corpo scelto, di stanza in questa città, con lo scopo di mantenere la sicurezza del complesso e assicurare la continuazione degli esperimenti-
-Esperimenti?-
-Sì, esperimenti genetici, soldato futuro-
-In che sotto livello sono i laboratori?-
-Trentadue-
-E l’archivio?-
-Cinquanta-
-Altro?-
Fece segno di no con la testa, chiudendo gli occhi.
-Ora uccidimi, per favore-

Mi sveglio di soprassalto e mi guardo intorno con quella sensazione che qualcosa non va. Doc si è chiuso nel laboratorio per “fare alcuni test”, così mi alzo dalla branda e rimango in ascolto. Mi sembra di percepire dei rumori strani, ma il corridoio è deserto. Mi avvicino alla porta del laboratorio e busso piano sul metallo.
Doc spalanca l’uscio con gli occhi fuori dalle orbite, mi afferra la maglia e mi tira dentro.
-Sapevo che sarebbe successo, solo speravo di avere più tempo!-
Armeggia furibondo sul tavolone da esperimenti, saltando da un quaderno ad un altro, annotando numeri e formule, come rapito da una forza deviante sovraumana, ma al tempo stesso geniale.
-Lo sapevo, non dovevo fidarmi!-
-Di cosa parli? Di chi non dovevi fidarti?-
Non sembra aver sentito, continua a confabulare.
-Devo attivarlo, non dovrei, ma devo!-
-Cosa cazzo stai dicendo? Vuoi ascoltarmi?-
Si gira, i bulbi oculari completamente arrossati dai vasi sanguigni, al limite della rottura, mi incute paura.
-Non sei stato abbastanza attento, li hai condotti qui! Adesso dobbiamo fuggire!-
-Chi? Chi avrei condotto qui?-
-I Divoratori, razza di coglione!-
Non pensavo che Doc fosse capace di avere un vocabolario così, deve essere sconvolto!
-Ma vedrai che ce la caveremo, devo solo recuperare i dati delle ricerche…e poi ho delle difese anche io-
-Dimmi come posso aiutarti!-
Torna ad osservarmi, sembra voler capire se può fidarsi, poi gesticola e mi indica una piantina dell’ospedale appesa al muro, un vecchio piano d’evacuazione su cui sono segnati gli estintori, le uscite d’emergenza. Con un pennarello rosso sono state aggiunte delle x.
-Vedi questa x vicino al lato nord? È una bella sorpresa per quei bastardi! Vai là e tendi il filo che troverai arrotolato ai piedi del carrello dell’ossigeno, non puoi sbagliare, ha due bombole arancioni! Poi attirali lì!-
-Ok, poi torno qui?-
-No! Attiva anche le altre trappole e poi ritorna qui-
Stacca dal muro la mappa e me la porge.
Faccio segno di sì mentre osservo la piantina.
-Ah sì, e ricorda: stai attento!-

Berved appoggiò la mano sulla spalla di Rudolf.
-Ottimo lavoro, vedo che la politica poliziotto buono, poliziotto cattivo funziona ancora!-
Frijn sbarrò gli occhi, lo avevano raggirato.
-Sfortunatamente per lei, Caporale, non acconsentirò all’assassinio di un prigioniero. Lascerò qui, per puro caso, la sua arma…-
La squadra si riorganizzò e salì sull’elevatore, senza prima aver tolto dai cadaveri ogni sistema di comunicazione.
Mentre le porte si chiudevano nell’aria risuonò un unico, forte, colpo di pistola.

Doc aveva ragione, è inequivocabile il carrello dell’ossigeno, con le sue bombole arancioni. Trovo altrettanto facilmente il filo da pesca arrotolato intorno ad una penna, che funge da rocchetto. Lo srotolo tutto, fino a fissarlo ad un piccolo chiodo nel battiscopa dalla parte opposta del corridoio. Mentre osservo la trappola mi chiedo come faccia Doc a conoscere questi metodi, alla fin fine è solo un medico!
Un grugnito mi riporta alla realtà. Imbocco il corridoio, muovendomi circospetto verso il rumore.
Arrivo nella hall. Una decina di predoni stanno rovistando tra le cartelle mediche e gli armadietti. All’arrivo di quello che deve essere una specie di caposquadra, gli altri si bloccano, in attesa di ordini.
-Siamo qui per riprendere quel figlio di gnu! Non per razziare!-
Lancio un fischio, calamitando l’attenzione del gruppetto.
-È me che cercate?-
Poi mi lancio di corsa da dove sono venuto. Sento urla e incitamenti alle mie spalle, stanno sicuramente inseguendomi.
Arrivo alla curva appena prima della trappola un po’ troppo veloce, così scivolo sul pavimento liscio e cado rovinosamente a terra. Uno dei Divoratori, un tizio magro e atletico, che ha staccato il grosso del gruppo, mi si lancia addosso, cercando di graffiarmi il volto. Noto con estremo dispiacere che calza un guanto con inserti aguzzi di acciaio. Riesco a scrollarmelo di dosso, ma non posso correre oltre il filo: se fa scattare la bomba morirei anche io. Però devo metterlo fuori combattimento prima che arrivino gli altri.
Incalza fendendo l’aria con le corte lame, facendo smorfie animalesche.
Attendo un secondo per capire il ritmo del movimento e mi lancio, con la spalla destra in avanti, dritto al suo stomaco. Il mondo sembra volare per un attimo, quando entrambi siamo a mezz’aria, per poi ripiombare violento a terra. Il Divoratore batte la nuca sul pavimento e perde conoscenza all’istante.

L’ascensore si fermò al cinquantesimo piano.
Quando le porte si aprirono Berved e la squadra rimasero impietriti: almeno venti Lupi Grigi li stava aspettando ad armi spianate. Da dietro lo schieramento si mosse un uomo, vestito con la stessa mimetica, senza armi, che portava un vistoso basco rosso con l’effige della testa di un lupo in argento.
-Tenente Berved, suppongo-

L’esplosione sconquassa tutto l’edificio, ormai è già la terza trappola che scatta dall’inizio dell’assalto. Doc mi guarda, preoccupato.
-Se arrivano alla quinta dovremo lasciare l’Ospedale-
-Dove andremo?-
-Al porto, c’è un vecchio magazzino in cui custodisco un mezzo di trasporto, lo prenderemo e fuggiremo sulle montagne-
-E cosa gli impedirà di fermarci?-
Doc, in silenzio, alza un dito tremante e indica la vasca di stasi, indica Sally! 

19. REVELATIONS


La squadra si congelò, ogni suo componente trattenne il fiato, cercando di percepire anche il minimo segnale di pericolo. Marvin, l’unico con un equipaggiamento tecnologico adatto, si mosse lentamente fino a raggiungere una cassa di metallo, abbastanza grossa da costituire un appiglio tattico adeguato.
Berved sentì dopo poco quattro schiocchi leggeri di dita: quattro nemici.
Se avevano tolto l’energia voleva dire che erano dotati di visori adeguati, quindi l’unica soluzione era combatterli alla luce. Sperava solo che anche Marvin fosse giunto alla stessa conclusione. 
FOP! Uno schiocco improvviso, seguito dal rumore di un corpo che cade. Tra i nuovi venuti si sparse il panico, provocando rumori rivelatori. Varmit accese la potente torcia posta sotto il railgun e iniziò a tempestare le cellule abitative vicine di proiettili.
Dopo la raffica spense nuovamente la torcia, solo la canna riscaldata emise ancora per qualche secondo un leggero bagliore rossastro.
FOP! Un altro morto.
Persero la pazienza ed iniziarono a sparare a casaccio, sintomo che i visori non erano di tipo termico. Corte raffiche di mitragliette leggere indicavano fin troppo bene la posizione nemica.
Gli uomini di Berved si mossero rapidi verso quella posizione, come fossero acqua che si insinua tra i ciottoli di un fiume.
-Ne voglio uno vivo!-
Ordinò il Tenente, appurando con piacere che la direttiva veniva passata da uomo a uomo.
Arrivati a tiro dei due superstiti attesero, tenendo sotto tiro i due soldati.
FOP!
Quasi all’unisono tutte le torce si accesero, lasciando l’ultimo uomo rimasto come un cervo in mezzo alla strada. Vedendosi sopraffatto non poté che alzare le mani, dopo aver lasciato cadere l’arma sul pavimento.

Devo essermi addormentato perché vedo la faccia di Doc quando apro gli occhi.
-Dovevi essere esausto, ti sei addormentato appena ti sei seduto!-
Vedo che sul tavolo c’è una tazza di brodaglia fumante, così prendo la tazza e bevo avidamente.
-Bravo ragazzo, devi aver perso molti liquidi durante la fuga-
Faccio segno di sì con la testa
-A proposito, sei stato attento che non ti seguissero fino a qui? È importantissimo!-
-Sì Doc, prima di dirigermi qui mi sono assicurato che avessero perso le mie tracce-
Fa segno di dì con le spalle e poi mi si siede davanti, aprendo sul tavolo una locandina sgualcita.  Sulla carta illustrata vedo un soldato enorme che marcia su una città in rovina.
Spesso, nel ventunesimo secolo, si ricorreva ancora a immagini anacronistiche di retaggio imperialista e in alcuni casi avevano il loro effetto.
I caratteri cirillici dicevano “Vuoi dare un futuro sicuro alla tua famiglia?” e “Vuoi rendere fiera la tua Nazione?”. In fondo al foglio, più grande di tutti, la scritta “Soldato Futuro” seguita da un numero di telefono a cui rivolgersi.
Lo guardo, desideroso di capirne di più
-Ti starai chiedendo cosa c’entri un volantino propagandistico con un mostro umanoide-
-Ho sentito parlare di un timido tentativo di ritornare alle origini da parte della Confederazione Eurasiatica una ventina di anni fa-
-Timida la chiami?- ride -Non penso sia il termine adatto, se consideri gli esperimenti genetici e scientifici legati a questo tentativo. Ne è un esempio il complesso di laboratori in questa regione. Sai quanti scienziati ci lavorarono?-
Più o meno lo sapevo, ma non volevo rivelare a Doc più informazioni di quelle indispensabili.
-Centinaia si avvicendarono dietro a quei macchinari per trovare le formule corrette per sviluppare forza, intelligenza e riflessi perfetti. -
-E ci riuscirono?-
Doc si alzò e mise in una tasca del camice la locandina, poi aprì la porta.
-Secondo te quella cosa che c’è di sotto è un risultato accettabile?-
Enfatizzò l’ultima parola, poi mi fece un cenno con la mano ed uscì in corridoio.

Al prigioniero venne strappato il visore dagli occhi e venne fatto inginocchiare, bloccandogli i polsi dietro la schiena con delle fasce di ritenzione apposite.
-Salve, sono il Tenente Berved, con chi ho il piacere di parlare?-
-Tenente di che forza armata?-
Parlava inglese correttamente.
-Della nostra…-
Un brusio di approvazione, mista a divertimento, si alzò dalla squadra.
-Io mi sono presentato, sarebbe così gentile da dirmi il suo nome e grado?-
-Caporale Glid Frijn, Lupi Grigi!-
Pronunciò queste parole gonfiando il petto e alzando il mento, come se ci fosse un generale che passava in rassegna le truppe.
-Lupi Grigi? Vorrebbe essere così gentile da spiegarmi chi siete?-
Il caporale, con gli occhi ormai arrossati dalle potenti torce, lo guardò fisso e, con un ghigno malefico:
-Siamo quelli che vi ammazzeranno fino all’ultimo e che brinderemo con il vostro sangue!-
Il calcio del fucile di Mac emise un secco colpo quando venne sbattuto con forza dietro al collo di Glid, che cadde a terra.
-Come vede, Caporale, il signore qui presente non accetta di buon grado le minacce. Se fosse così gentile, ora, da rispondere alla domanda.-
Non rispose, tirandosi nuovamente in ginocchio e recuperando la posa da parata.
Berved si girò e indicò con un cenno Varmit, che appoggiò il railgun a terra e gli si avvicinò, poi, rivolto a Biz e Sandoval:
-Toglietegli il paraschegge e il tattico, lasciatelo a petto nudo!-       

Siamo arrivati in una stanza dietro alla reception, nella quale venivano custodite copia delle cartelle di ogni paziente. Doc mi indica uno scaffale, da cui raccoglie una cartellina marrone.
-Vedi questa etichetta viola? Significava che avevi contratto l’infezione-
-Quale infezione?-
-Vedi, quando nel laboratorio iniziarono a svilupparsi le prime mutazioni venne data la colpa ad un virus-
Ecco i continui richiami a fascicoli medici che avevo trovato nel computer nell’appartamento.
-Purtroppo chi lavorava al laboratorio sapeva che la verità andava ben oltre alla finzione: l’esperimento era stato allargato a tutta la popolazione cittadina-
Solo ora mi rendo conto che tutte le cartelle che vedo, nessuna esclusa, hanno il talloncino viola.
-Ed è sfuggito di mano, vero?-
-Esatto! Le forze speciali, i Lupi Grigi, riuscirono ad arginare il fenomeno eliminando sistematicamente le minacce e i portatori dell’agente mutageno-
-E allora perché ci sono ancora quelle creature fuori?-
-Semplicemente sono la loro polizza contro i curiosi!-

Il Caporale Glid Frijn era legato con le mani alte ad una trave metallica, le ustioni avrebbero lasciato cicatrici indelebili, addirittura per la chirurgia ricostruttiva laser, ma probabilmente non sarebbe vissuto tanto a lungo da doversene preoccupare. Ormai i muscoli degli arti inferiori avevano ceduto e il peso corporeo stava scavando profondi solchi nei polsi.
-Reggetelo, se no gli si staccheranno le mani-
Ordinò Varmit ai due “aiutanti”.
Berved si aggirava quasi distrattamente intorno al corpo martoriato.
-Non sia stupido, mi dica ciò che le ho chiesto-
Marvin aveva riacceso le luci nel piano abitativo e i soldati nemici erano stati posti ordinatamente lungo la parete di fronte al prigioniero.
-Avrà capito che l’abbiamo lasciata viva solo per avere informazioni, quindi se non ce le fornisce…-
Emise un basso rantolo, non riusciva ad articolare bene le parole.
-Mi ucciderete ugualmente-
-Le dò la mia parola da ufficiale che la lascerò libero!-
Il prigioniero alzò gli occhi, guardando stupefatto il Tenente. Poi scrollò la testa, non gli credeva.
Ad un cenno Varmit ricominciò a percuoterlo.

18. THE EGG


-Tanto vale…-
Disse Biz allungando la mano e premendo un pulsante caso. Berved non ebbe il tempo di bloccarlo e l’elevatore si chiuse alle loro spalle. Le pesanti porte scorrevoli non emisero alcun suono, segno della manutenzione perfetta.
-Ci stiamo muovendo?-
-Penso di sì Varmit, sento una leggera vibrazione-
Rispose Marvin, appoggiando la mano sulla parete.
Dopo meno di un minuto la porta si riaprì mostrando un lungo corridoio buio reso spettrale dalla flebile luce della cabina dell’elevatore, che riusciva a mostrarne solo pochi metri. Ad un cenno del Tenente gli uomini accesero le torce. Passato l’attimo di disorientamento, dovuto allo sbalzo di luminosità, i muri e il pavimento apparvero chiari come fosse giorno: macchie ovunque.
-È sangue! Rappreso da tempo-
Esclamò Sandoval dopo averne esaminata una da vicino.
Nessuno rispose, ma la squadra continuò l’esplorazione del tunnel. Terminava in una curva a gomito, subito chiusa da una porta a tenuta stagna, ai cui piedi giaceva in posa scomposta un cadavere in avanzato stato di decomposizione.
-Sembra volesse fuggire-
Commentò Rudolf, subito folgorato dallo sguardo torvo del Tenente.
Mac osservò il pannello comandi sul muro, trovandolo manomesso.
-Qualcuno ha tagliato i cavi-
-Forse lui stesso, per cercare di sbloccare la porta?-
Chiese Biz indicando l’uomo a terra.
-Impossibile, questa porta è a tenuta stagna, in caso di sabotaggio della plancia non si apre se non con una cannonata, e se lo so io, semplice soldato, sono sicuro lo sapesse anche lui…che sembra un ingegnere-
Commentò Berved tirandone il camice bianco e raccogliendo un tesserino magnetico con su scritto “354”.
Poi, rivolto alla squadra:
-Vicolo cieco signori, torniamo all’elevatore-

Sono tornato all’interno della struttura ospedaliera passando attraverso un passaggio nascosto nel muro sud, indicatomi da Doc. Lo trovo curvo sul tavolo del suo laboratorio, intento a sistemare la fiamma di un bruciatore.
-Bentornato!-
Mi accoglie senza alzare lo sguardo, forse aveva già controllato chi fossi. Quando mi guarda però gli si spalancano gli occhi: sto tenendo in mano il suo macchinario.
-Magnifico! Sei riuscito a prenderlo!-
Lo soppesa e se lo rigira tra le mani, studiandone ogni centimetro. Una volta assicuratosi che sia tutto a posto, lo appoggia sul lungo tavolo da laboratorio e mi fa segno di seguirlo.

Premettero un altro tasto, segnandolo con un pennarello indelebile.
Questa volta finirono in quello che sembrava la zona residenziale del complesso.
Una grande stanza, la cui superficie misurava più di due ettari, appariva popolata da basse costruzioni tutte uguali, di materiale plastico, simili a uova. L’involucro esterno era personalizzato con fantasie colorate, ma su tutte appariva a caratteri cubitali un codice numerico a tre cifre.
-Vediamo di capirci qualcosa!-
Esclamò il Tenente, osservando la tessera magnetica.
-Tre cinque quattro, cerchiamolo-
Si misero a camminare percorrendo i passaggi sinuosi in mezzo alle cellule abitative, fino a trovarsi davanti a quella cercata. La superficie era completamente liscia, senza alcuna fessura per inserire una tessera. Solo la porta era riconoscibile da una tonalità di colore diversa, così passò la carta vicino allo stipite. Arrivato sul lato destro un led affogato nel materiale emise una luce pulsante verde e il pannello d’ingresso scorse silenzioso verso il soffitto. Contemporaneamente l’uovo si illuminò, sia all’interno che all’esterno, di una calda luce tendente al blu.

Doc supera la porta del laboratorio e prosegue lungo un corridoio buio, che fa una secca curva a gomito. Ci troviamo di fronte ad una porta blindata la cui vernice è graffiata e i cardini sembrano essere stati aggrediti da qualcosa.
-Hanno provato ad aprirla in tutti i modi, fortunatamente non disponevano di esplosivo-
Mi dice, vedendo la mia espressione interrogativa, mentre armeggia con una tastiera numerica. Il sistema di chiusura emette uno sbuffo e l’uscio si discosta leggermente dalla cornice.
Aiuto Doc ad aprirlo. Quando entriamo e le luci si accendono automaticamente rimango senza parole: al centro di un ambiente simile ad una sala operatoria fa bella mostra di sé una vasca piena di liquido, in cui vedo, immobile, una delle creature.
-Ti presento Sally!-
Dice ridendo Doc
-È all’interno di una vasca di stasi, il gel in cui è immersa serve per tenerla perennemente sedata, è come se fosse affogata, ma le sue funzioni vitali persistono-
Indica un monitor su cui scorrono in tempo reale tutti i valori fisiologici.
-Ma questo serve qui!-
Dice alzando l’irraggiatore e posizionandolo all’interno di un macchinario più complesso che occupa completamente una parete.
-Cos’è questo posto?-
Chiedo timoroso della risposta.
-Hai mai sentito parlare del progetto человек будущего (Uomo Futuro)?-
Faccio segno di no con la testa.
-Ragazzo mio, allora stasera avremo tanto di cui parlare, ma ora lascia che termini questo lavoro-

All’interno c’era lo spazio sufficiente solo per due uomini ed era strutturato con una divisione ideale tra zona giorno e zona notte: la parte più vicina alla porta presentava un piccolo guardaroba e un piano d’appoggio, mentre nella parte posteriore il pavimento era rialzato, andando a disegnare un letto di forma irregolare, ricoperto da un sottile materassino di materiale espanso.
Il disordine presente strideva con l’asetticità della cellula: fogli incollati alle pareti, schemi tracciati da mani incerte, formule matematiche incomprensibili, vestiti lasciati sul pavimento, resti di imballaggi.
-Aveva fretta il nostro amico-
Disse sarcastico Biz
-Pare di sì, però ha lasciato qui la valigia-
Osservò Sandoval, raccogliendo una valigetta dal letto.
Marvin gli si avvicinò e fece scattare il dispositivo di chiusura, dopo una veloce analisi della serratura.
-Solo un cambio di biancheria e un plico di fogli-
-Manoscritti, sembrerebbe un diario-
Berved lo prese e osservò la scrittura.

Giorno 1
Siamo arrivati al complesso di Reclav stamattina presto, quando era ancora buio, dopo aver viaggiato tutta la notte in un aereo senza finestrini. Non ci stanno trattando male, ma tutto il personale  è iper-organizzato e molto distaccato. Ad ogni ricercatore è stato assegnato una cellula abitativa. Mi sono portato alcuni libri per leggere, però questa luce blu non mi renderà la vita facile.
Tutto è pensato perché la giornata si sviluppi in maniera ciclica e produttiva: sveglia, colazione, LAVORO, pranzo, LAVORO, cena, riposo.

Il Tenente sfogliò le carte fino ad arrivare al giorno 54, l’ultimo annotato.

Giorno 54
Oggi non mi sento per niente bene, ho continui capogiri e i primi sintomi si stanno manifestando anche su di me. Ieri ho dovuto fare l’iniezione letale al Dottor Julian, l’unico forse con cui avevo legato veramente tanto. Ma aveva chiesto che fossi io, in caso, a dargli l’ultimo saluto. Mi chiedo cosa succederà quando non ci saranno più dottori per fare le iniezioni, i soldati useranno le armi? Come mai loro non si ammalano?
Mi capita spesso di ripensare a casa e alla mia vita precedente. So già che non potrò mai più rivedere quegli affetti, sono anche io destinato a morire qui, sono un medico, e capisco ciò che mi sta succedendo. Se solo avessimo…

Berved si bloccò nella lettura: sentì un rumore sordo provenire dalla direzione dell’ascensore e poi tutto l’ambiente cadde improvvisamente nel buio, anche l’uovo si spense.

  

I'm so sorry!

Mi dispiace annunciare che il blog rimarrà "fermo" per qualche tempo: sono calamitato completamente da un altro progetto, ma a breve Mac e soci torneranno a Reclav, più agguerriti che mai!!!