-Tanto vale…-
Disse Biz allungando la mano e premendo un pulsante caso.
Berved non ebbe il tempo di bloccarlo e l’elevatore si chiuse alle loro spalle.
Le pesanti porte scorrevoli non emisero alcun suono, segno della manutenzione
perfetta.
-Ci stiamo muovendo?-
-Penso di sì Varmit, sento una leggera vibrazione-
Rispose Marvin, appoggiando la mano sulla parete.
Dopo meno di un minuto la porta si riaprì mostrando un
lungo corridoio buio reso spettrale dalla flebile luce della cabina
dell’elevatore, che riusciva a mostrarne solo pochi metri. Ad un cenno del
Tenente gli uomini accesero le torce. Passato l’attimo di disorientamento,
dovuto allo sbalzo di luminosità, i muri e il pavimento apparvero chiari come
fosse giorno: macchie ovunque.
-È sangue! Rappreso da tempo-
Esclamò Sandoval dopo averne esaminata una da vicino.
Nessuno rispose, ma la squadra continuò l’esplorazione
del tunnel. Terminava in una curva a gomito, subito chiusa da una porta a
tenuta stagna, ai cui piedi giaceva in posa scomposta un cadavere in avanzato
stato di decomposizione.
-Sembra volesse fuggire-
Commentò Rudolf, subito folgorato dallo sguardo torvo del
Tenente.
Mac osservò il pannello comandi sul muro, trovandolo
manomesso.
-Qualcuno ha tagliato i cavi-
-Forse lui stesso, per cercare di sbloccare la porta?-
Chiese Biz indicando l’uomo a terra.
-Impossibile, questa porta è a tenuta stagna, in caso di
sabotaggio della plancia non si apre se non con una cannonata, e se lo so io,
semplice soldato, sono sicuro lo sapesse anche lui…che sembra un ingegnere-
Commentò Berved tirandone il camice bianco e raccogliendo
un tesserino magnetico con su scritto “354”.
Poi, rivolto alla squadra:
-Vicolo cieco signori, torniamo all’elevatore-
Sono tornato all’interno della struttura ospedaliera passando
attraverso un passaggio nascosto nel muro sud, indicatomi da Doc. Lo trovo
curvo sul tavolo del suo laboratorio, intento a sistemare la fiamma di un
bruciatore.
-Bentornato!-
Mi accoglie senza alzare lo sguardo, forse aveva già
controllato chi fossi. Quando mi guarda però gli si spalancano gli occhi: sto
tenendo in mano il suo macchinario.
-Magnifico! Sei riuscito a prenderlo!-
Lo soppesa e se lo rigira tra le mani, studiandone ogni
centimetro. Una volta assicuratosi che sia tutto a posto, lo appoggia sul lungo
tavolo da laboratorio e mi fa segno di seguirlo.
Premettero un altro tasto, segnandolo con un pennarello
indelebile.
Questa volta finirono in quello che sembrava la zona
residenziale del complesso.
Una grande stanza, la cui superficie misurava più di due
ettari, appariva popolata da basse costruzioni tutte uguali, di materiale
plastico, simili a uova. L’involucro esterno era personalizzato con fantasie
colorate, ma su tutte appariva a caratteri cubitali un codice numerico a tre
cifre.
-Vediamo di capirci qualcosa!-
Esclamò il Tenente, osservando la tessera magnetica.
-Tre cinque quattro, cerchiamolo-
Si misero a camminare percorrendo i passaggi sinuosi in
mezzo alle cellule abitative, fino a trovarsi davanti a quella cercata. La
superficie era completamente liscia, senza alcuna fessura per inserire una
tessera. Solo la porta era riconoscibile da una tonalità di colore diversa,
così passò la carta vicino allo stipite. Arrivato sul lato destro un led
affogato nel materiale emise una luce pulsante verde e il pannello d’ingresso
scorse silenzioso verso il soffitto. Contemporaneamente l’uovo si illuminò, sia
all’interno che all’esterno, di una calda luce tendente al blu.
Doc supera la porta del laboratorio e prosegue lungo un
corridoio buio, che fa una secca curva a gomito. Ci troviamo di fronte ad una
porta blindata la cui vernice è graffiata e i cardini sembrano essere stati
aggrediti da qualcosa.
-Hanno provato ad aprirla in tutti i modi, fortunatamente
non disponevano di esplosivo-
Mi dice, vedendo la mia espressione interrogativa, mentre
armeggia con una tastiera numerica. Il sistema di chiusura emette uno sbuffo e
l’uscio si discosta leggermente dalla cornice.
Aiuto Doc ad aprirlo. Quando entriamo e le luci si
accendono automaticamente rimango senza parole: al centro di un ambiente simile
ad una sala operatoria fa bella mostra di sé una vasca piena di liquido, in cui
vedo, immobile, una delle creature.
-Ti presento Sally!-
Dice ridendo Doc
-È all’interno di una vasca di stasi, il gel in cui è
immersa serve per tenerla perennemente sedata, è come se fosse affogata, ma le
sue funzioni vitali persistono-
Indica un monitor su cui scorrono in tempo reale tutti i
valori fisiologici.
-Ma questo serve qui!-
Dice alzando l’irraggiatore e posizionandolo all’interno
di un macchinario più complesso che occupa completamente una parete.
-Cos’è questo posto?-
Chiedo timoroso della risposta.
-Hai mai sentito parlare del progetto человек будущего (Uomo
Futuro)?-
Faccio segno di no con la testa.
-Ragazzo mio, allora stasera avremo tanto di cui parlare,
ma ora lascia che termini questo lavoro-
All’interno c’era lo spazio sufficiente solo per due
uomini ed era strutturato con una divisione ideale tra zona giorno e zona
notte: la parte più vicina alla porta presentava un piccolo guardaroba e un
piano d’appoggio, mentre nella parte posteriore il pavimento era rialzato,
andando a disegnare un letto di forma irregolare, ricoperto da un sottile
materassino di materiale espanso.
Il disordine presente strideva con l’asetticità della
cellula: fogli incollati alle pareti, schemi tracciati da mani incerte, formule
matematiche incomprensibili, vestiti lasciati sul pavimento, resti di
imballaggi.
-Aveva fretta il nostro amico-
Disse sarcastico Biz
-Pare di sì, però ha lasciato qui la valigia-
Osservò Sandoval, raccogliendo una valigetta dal letto.
Marvin gli si avvicinò e fece scattare il dispositivo di
chiusura, dopo una veloce analisi della serratura.
-Solo un cambio di biancheria e un plico di fogli-
-Manoscritti, sembrerebbe un diario-
Berved lo prese e osservò la scrittura.
Giorno 1
Siamo arrivati al
complesso di Reclav stamattina presto, quando era ancora buio, dopo aver
viaggiato tutta la notte in un aereo senza finestrini. Non ci stanno trattando
male, ma tutto il personale è
iper-organizzato e molto distaccato. Ad ogni ricercatore è stato assegnato una
cellula abitativa. Mi sono portato alcuni libri per leggere, però questa luce
blu non mi renderà la vita facile.
Tutto è pensato
perché la giornata si sviluppi in maniera ciclica e produttiva: sveglia,
colazione, LAVORO, pranzo, LAVORO, cena, riposo.
Il Tenente sfogliò le carte fino ad arrivare al giorno
54, l’ultimo annotato.
Giorno 54
Oggi non mi sento
per niente bene, ho continui capogiri e i primi sintomi si stanno manifestando
anche su di me. Ieri ho dovuto fare l’iniezione letale al Dottor Julian, l’unico
forse con cui avevo legato veramente tanto. Ma aveva chiesto che fossi io, in
caso, a dargli l’ultimo saluto. Mi chiedo cosa succederà quando non ci saranno
più dottori per fare le iniezioni, i soldati useranno le armi? Come mai loro
non si ammalano?
Mi capita spesso di
ripensare a casa e alla mia vita precedente. So già che non potrò mai più
rivedere quegli affetti, sono anche io destinato a morire qui, sono un medico,
e capisco ciò che mi sta succedendo. Se solo avessimo…
Berved si bloccò nella lettura: sentì un rumore sordo
provenire dalla direzione dell’ascensore e poi tutto l’ambiente cadde
improvvisamente nel buio, anche l’uovo si spense.
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