17. UNIVERSITY LECTURE


Mi lancio dentro la porta e corro a perdifiato per i locali abbandonati, ingombri di robaccia e cianfrusaglie. Sento ancora i segugi abbaiare furiosi all'esterno e questo mi dà una marcia in più. Trovo una scala con la balaustra di vetro frantumata e la salgo tre gradini alla volta, sperando di non scivolare sui pezzi di cristallo. Il piano in cui arrivo deve essere quello delle aule, porte tutte uguali si ritmano sulle pareti.
Corro, corro, corro e corro, cercando invano un luogo dove nascondermi.
Inciampo sullo scheletro di una sedia e sbatto violentemente contro la parete, ferendomi il viso e la gamba. Vedo un cartello indicante i laboratori più avanti, che fortuna! Mi dirigo veloce in quella direzione, sperando di avere ancora tempo.
Il latrare ora è amplificato e sottolineato da un effetto eco. Sono entrati!

La schiuma giallastra imbrattava il bavero della giacca mimetica del prigioniero, i cui occhi vitrei osservavano l’intorno, accusatori.
- La capsula di veleno deve essere stata impiantata nella parete interna dello stomaco e comandata da un impulso nervoso-
Esordì Sandoval, la cui diagnosi innervosì il caporale Biz
- Mi chiedo come un Agente possa sapere queste cose?-
Mac si inginocchiò vicino al corpo, osservandone le iridi.
- Dal colore degli occhi credo fosse un neuro inibitore, ne ho visti gli effetti spesso, in passato-
- Qualcuno mi spiega cosa succede?-
Domandò Berved, mettendo a tacere le proteste di Biz.
- Tenente, come Agente ho avuto spesso a che fare con farmaci illegali, tra questi arrivava nelle strade anche qualche partita di roba militare, usata come veleno dalle spie o dalle forze speciali, che spesso la nascondono nello stomaco.-
- E qualcuno pagherebbe per ridursi così?-
Varmit si intromise, indicando sorpreso il corpo a terra.
- Certo che no, se tagliato con un basico, un neuro inibitore riduce dell'85% la sua carica letale. Così possono strafarsi o commettere idiozie senza sentire dolore o paura.-
Berved guardò l'orologio e disse:
- Ci resta poco tempo per la prima finestra di esfiltrazione possibile, lasciamo qui il corpo e muoviamoci verso l'interno del complesso-
Tutti presero posto in formazione e controllarono armi ed equipaggiamento, Varmit agganciò il railgun all'esoscheletro di supporto dorsale e ne estrasse un corto fucile multi canna.

I mastini entrano, con le unghie ticchettanti, nella stanza. Dal mio nascondiglio non vedo nulla, se non la nuvoletta di vapore della respirazione. Spero che il forte odore di solventi e altre sostanze chimiche nasconda il mio. Con passi lenti un cane si aggira intorno ai tavoli, mentre l'altro è fermo sulla soglia, con le orecchie tese in aria. Improvvisamente i due si girano di scatto e si dirigono al galoppo verso un altro piano: ne sento i mugolii rimbombati dal vano scale.
Cauto esco dal ripostiglio e, sicuro di essere solo, mi metto alla ricerca del bottino. Devo sbrigarmi, prima che arrivi anche qualche Divoratore, o che i due mostri tornino sui loro passi. Inoltre i vapori delle sostanze presenti mi stanno facendo uno strano effetto, mi gira la testa e la vista mi si annebbia.

I locali amministrativi, comprensivi di segreteria, uffici ed archivio, furono bonificati velocemente e la squadra passò oltre, giungendo in un atrio su cui si stagliava una pesante porta metallica. Il sistema di chiusura era a ruota, come quello presente nelle vecchie navi da guerra. Dopo aver ricevuto l'ordine Varmit le si avvicinò e face forza sul meccanismo. Senza quasi produrre suoni questo si sbloccò e permise al mitragliere di aprire cauto la porta. Dietro quella che doveva essere stata la sala principale del reattore, alta più di quindici metri, con un vistoso cratere bruciato nel centro del pavimento. La sua profondità sarà stata di una decina di metri.
Sandoval osservava intorno a sé incuriosito, mentre gli altri percorrevano gli spazi con la concentrazione professionale del soldato abituato alla battaglia.

Ho girato vari laboratori, dopo essermi fatto una mascherina di fortuna con parte di un camice lacero. Sono finalmente arrivato in una stanza piena di macchinari, bruciatori e ampolle. In un angolo, sopra un mobile d'acciaio, vedo il maledetto aggeggio del professore.
Lo afferro, è veramente pesante! Devo trovare qualcosa per trasportarlo.
Sento dei rumori provenire dal corridoio: vetri rotti, porte sbattute e qualche secco ordine e osservazione. Mi appiattisco contro il muro, cercando di intuire i loro movimenti attraverso la fessura della porta, ma il corridoio è troppo buio e la vista è ancora annebbiata dai vapori chimici.
Riesco ad intuire il loro numero: due!
Se faccio in fretta e sono fortunato dovrei cavarmela!
Il primo arriva davanti alla porta, si ferma e scambia un paio di parole con il secondo, che ha tre vistose creste sulla testa rasata. Poi spinge l'uscio. Indugia un attimo di troppo, permettendomi di agguantargli il polso e tirarlo a me. Colto alla sprovvista perde l'equilibrio, cadendo in ginocchio, con il polso sempre in leva articolare.
Un automatismo che non credevo di avere mi muove e fa partire una poderosa ginocchiata al setto nasale, seguita dell'agghiacciate scrocchio, colonna sonora della sua dipartita.
Numero due, il punk, guarda me, poi il suo compagno, poi nuovamente me, estrae, quasi ringhiando, una lama ricurva e mi si lancia contro. I movimenti seguenti non riesco a controllarli del tutto: parate strette, leve, disarticolamentti, colpi secchi e precisi, graffi, morsi. Al termine di quelli che mi sembrano minuti lunghissimi, mi trovo disteso a terra, sporco di sangue, in più punti lacerato e contuso. Al mio fianco il viso del punk ha assunto uno strano ghigno, scomposto, tirato. Il suo collo è in una posizione innaturale, quasi fosse un gufo. Mi alzo e, ancora costernato per l'accaduto, mi rendo conto che il primo Divoratore porta sulle spalle un piccolo zaino. Lo raccolgo e lo svuoto sul pavimento, indifferente. Pongo al suo interno l'attrezzatura da laboratorio, esco in corridoio, scendo le scale, esco da una porta secondaria, che riesco a sbloccare, e fuggo attraverso il labirinto di edifici del campus.

- E adesso?-
Chiese Biz guardando il grosso vano elevatore.
- Ottima domanda Caporale, ottima domanda!-
Davanti al Tenente e al resto della squadra faceva bella mostra di sé una console da ascensore con una cinquantina di pulsanti, senza targhette identificative.

Dopo circa un'ora penso che non mi stiano inseguendo, forse domani si metteranno alla ricerca, ma per oggi il numero di sobri probabilmente non permette una battuta di caccia proficua. Decido di tornare il più velocemente possibile all'ospedale.
La desolazione circostante mi fa pensare ad una lezione a cui assistetti all'università.
A dire il vero non ho mai frequentato gli ambienti accademici, preferendo i bassifondi e le sale da thè, rinomati centri di raccolta di hacker e netsurfer, ma mi ero innamorato. Avevo acconsentito nell'accompagnare Carmen a lezione: Filosofia dell'uomo futuro, ritrovandomi poi rapito dal docente.
Solo oggi, circondato da questa violenza, diversa da quella cittadina, dettata dal profitto smodato, capisco in toto le sue parole: la iper tecnologia ha aumentato il gap tra il basso e l'alto, tra il debole e il potente. Nell'era degli impianti neurali, delle comunicazioni super veloci e degli organi potenziati, esisteranno individui che vivranno in uno stato tribale, dando importanza ad aspetti ed oggetti, reputabili dai più, inutili. Uccideranno, saccheggeranno e ameranno in una commistione di violenza e sentimenti simili all’istinto primordiale dell’animale, distaccandosi del tutto dall’idea di “uomo del futuro”, candida essenza utile per il marketing.
In effetti ho paura di chiedermi a quale delle due realtà si avvicini maggiormente ciò che ho fatto ultimamente, temo di avere già una risposta.

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