Mi lancio
dentro la porta e corro a perdifiato per i locali abbandonati, ingombri di
robaccia e cianfrusaglie. Sento ancora i segugi abbaiare furiosi all'esterno e
questo mi dà una marcia in più. Trovo una scala con la balaustra di vetro
frantumata e la salgo tre gradini alla volta, sperando di non scivolare sui
pezzi di cristallo. Il piano in cui arrivo deve essere quello delle aule, porte
tutte uguali si ritmano sulle pareti.
Corro,
corro, corro e corro, cercando invano un luogo dove nascondermi.
Inciampo sullo
scheletro di una sedia e sbatto violentemente contro la parete, ferendomi il
viso e la gamba. Vedo un cartello indicante i laboratori più avanti, che
fortuna! Mi dirigo veloce in quella direzione, sperando di avere ancora tempo.
Il latrare
ora è amplificato e sottolineato da un effetto eco. Sono entrati!
La schiuma
giallastra imbrattava il bavero della giacca mimetica del prigioniero, i cui
occhi vitrei osservavano l’intorno, accusatori.
- La
capsula di veleno deve essere stata impiantata nella parete interna dello
stomaco e comandata da un impulso nervoso-
Esordì
Sandoval, la cui diagnosi innervosì il caporale Biz
- Mi chiedo
come un Agente possa sapere queste cose?-
Mac si inginocchiò
vicino al corpo, osservandone le iridi.
- Dal
colore degli occhi credo fosse un neuro inibitore, ne ho visti gli effetti
spesso, in passato-
- Qualcuno
mi spiega cosa succede?-
Domandò
Berved, mettendo a tacere le proteste di Biz.
- Tenente,
come Agente ho avuto spesso a che fare con farmaci illegali, tra questi arrivava
nelle strade anche qualche partita di roba militare, usata come veleno dalle
spie o dalle forze speciali, che spesso la nascondono nello stomaco.-
- E
qualcuno pagherebbe per ridursi così?-
Varmit si
intromise, indicando sorpreso il corpo a terra.
- Certo che
no, se tagliato con un basico, un neuro inibitore riduce dell'85% la sua carica
letale. Così possono strafarsi o commettere idiozie senza sentire dolore o
paura.-
Berved
guardò l'orologio e disse:
- Ci resta
poco tempo per la prima finestra di esfiltrazione possibile, lasciamo qui il
corpo e muoviamoci verso l'interno del complesso-
Tutti
presero posto in formazione e controllarono armi ed equipaggiamento, Varmit agganciò
il railgun all'esoscheletro di supporto dorsale e ne estrasse un corto fucile multi
canna.
I mastini
entrano, con le unghie ticchettanti, nella stanza. Dal mio nascondiglio non
vedo nulla, se non la nuvoletta di vapore della respirazione. Spero che il
forte odore di solventi e altre sostanze chimiche nasconda il mio. Con passi
lenti un cane si aggira intorno ai tavoli, mentre l'altro è fermo sulla soglia,
con le orecchie tese in aria. Improvvisamente i due si girano di scatto e si
dirigono al galoppo verso un altro piano: ne sento i mugolii rimbombati dal
vano scale.
Cauto esco
dal ripostiglio e, sicuro di essere solo, mi metto alla ricerca del bottino.
Devo sbrigarmi, prima che arrivi anche qualche Divoratore, o che i due mostri
tornino sui loro passi. Inoltre i vapori delle sostanze presenti mi stanno
facendo uno strano effetto, mi gira la testa e la vista mi si annebbia.
I locali
amministrativi, comprensivi di segreteria, uffici ed archivio, furono
bonificati velocemente e la squadra passò oltre, giungendo in un atrio su cui
si stagliava una pesante porta metallica. Il sistema di chiusura era a ruota,
come quello presente nelle vecchie navi da guerra. Dopo aver ricevuto l'ordine
Varmit le si avvicinò e face forza sul meccanismo. Senza quasi produrre suoni
questo si sbloccò e permise al mitragliere di aprire cauto la porta. Dietro quella
che doveva essere stata la sala principale del reattore, alta più di quindici
metri, con un vistoso cratere bruciato nel centro del pavimento. La sua
profondità sarà stata di una decina di metri.
Sandoval
osservava intorno a sé incuriosito, mentre gli altri percorrevano gli spazi con
la concentrazione professionale del soldato abituato alla battaglia.
Ho girato
vari laboratori, dopo essermi fatto una mascherina di fortuna con parte di un
camice lacero. Sono finalmente arrivato in una stanza piena di macchinari,
bruciatori e ampolle. In un angolo, sopra un mobile d'acciaio, vedo il
maledetto aggeggio del professore.
Lo afferro,
è veramente pesante! Devo trovare qualcosa per trasportarlo.
Sento dei rumori
provenire dal corridoio: vetri rotti, porte sbattute e qualche secco ordine e
osservazione. Mi appiattisco contro il muro, cercando di intuire i loro
movimenti attraverso la fessura della porta, ma il corridoio è troppo buio e la
vista è ancora annebbiata dai vapori chimici.
Riesco ad
intuire il loro numero: due!
Se faccio
in fretta e sono fortunato dovrei cavarmela!
Il primo
arriva davanti alla porta, si ferma e scambia un paio di parole con il secondo,
che ha tre vistose creste sulla testa rasata. Poi spinge l'uscio. Indugia un
attimo di troppo, permettendomi di agguantargli il polso e tirarlo a me. Colto
alla sprovvista perde l'equilibrio, cadendo in ginocchio, con il polso sempre
in leva articolare.
Un
automatismo che non credevo di avere mi muove e fa partire una poderosa
ginocchiata al setto nasale, seguita dell'agghiacciate scrocchio, colonna
sonora della sua dipartita.
Numero due,
il punk, guarda me, poi il suo compagno, poi nuovamente me, estrae, quasi
ringhiando, una lama ricurva e mi si lancia contro. I movimenti seguenti non
riesco a controllarli del tutto: parate strette, leve, disarticolamentti, colpi
secchi e precisi, graffi, morsi. Al termine di quelli che mi sembrano minuti
lunghissimi, mi trovo disteso a terra, sporco di sangue, in più punti lacerato
e contuso. Al mio fianco il viso del punk ha assunto uno strano ghigno,
scomposto, tirato. Il suo collo è in una posizione innaturale, quasi fosse un
gufo. Mi alzo e, ancora costernato per l'accaduto, mi rendo conto che il primo
Divoratore porta sulle spalle un piccolo zaino. Lo raccolgo e lo svuoto sul
pavimento, indifferente. Pongo al suo interno l'attrezzatura da laboratorio,
esco in corridoio, scendo le scale, esco da una porta secondaria, che riesco a sbloccare,
e fuggo attraverso il labirinto di edifici del campus.
- E
adesso?-
Chiese Biz
guardando il grosso vano elevatore.
- Ottima
domanda Caporale, ottima domanda!-
Davanti al
Tenente e al resto della squadra faceva bella mostra di sé una console da
ascensore con una cinquantina di pulsanti, senza targhette identificative.
Dopo circa
un'ora penso che non mi stiano inseguendo, forse domani si metteranno alla
ricerca, ma per oggi il numero di sobri probabilmente non permette una battuta
di caccia proficua. Decido di tornare il più velocemente possibile
all'ospedale.
La desolazione
circostante mi fa pensare ad una lezione a cui assistetti all'università.
A dire il
vero non ho mai frequentato gli ambienti accademici, preferendo i bassifondi e
le sale da thè, rinomati centri di raccolta di hacker e netsurfer, ma mi ero
innamorato. Avevo acconsentito nell'accompagnare Carmen a lezione: Filosofia
dell'uomo futuro, ritrovandomi poi rapito dal docente.
Solo oggi,
circondato da questa violenza, diversa da quella cittadina, dettata dal
profitto smodato, capisco in toto le sue parole: la iper tecnologia ha
aumentato il gap tra il basso e l'alto, tra il debole e il potente. Nell'era
degli impianti neurali, delle comunicazioni super veloci e degli organi
potenziati, esisteranno individui che vivranno in uno stato tribale, dando
importanza ad aspetti ed oggetti, reputabili dai più, inutili. Uccideranno,
saccheggeranno e ameranno in una commistione di violenza e sentimenti simili
all’istinto primordiale dell’animale, distaccandosi del tutto dall’idea di “uomo
del futuro”, candida essenza utile per il marketing.
In effetti ho
paura di chiedermi a quale delle due realtà si avvicini maggiormente ciò che ho
fatto ultimamente, temo di avere già una risposta.
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